Iva: aumentarla (qua e là) forse…conviene

di Riccardo Galli
Pubblicato il 18 Aprile 2019 - 10:37 OLTRE 6 MESI FA
Iva: se aumentarla (qua e là) forse...conviene

Iva: aumentarla (qua e là) forse…conviene (nella foto Ansa, Giovanni Tria)

ROMA – “In attesa di alternative, nel Def, sono confermati gli aumenti dell’Iva“, ha detto, dichiarando l’ovvio, il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Parole che hanno fatto scattare la reazione dei due vicepremier-contraenti di governo: “Mai con noi al governo”, ha scandito Luigi Di Maio; “Noi lavoriamo per abbassarle le tasse”, ha rilanciato Matteo Salvini.

Prese di posizione da campagna elettorale che lasciano presagire come l’aumento dell’Iva potrebbe davvero arrivare, a differenza di quanto accaduto in passato. Ma potrebbe non essere necessariamente una cattiva notizia. Il governo giallo-verde di cui Tria tiene i cordoni della borsa ha inserito, come abitudine e su richiesta di Bruxelles, le solite clausole di salvaguardia nell’ultima manovra.

Clausole che servono a garantire i conti pubblici di fronte ai mercati e di fronte ai partner continentali e clausole che, finora, i precedenti governi hanno usato spesso come garanzia, inserendo nei tendenziali di finanza pubblica gli aumenti automatici dell’Iva, salvo poi disporne la neutralizzazione con le leggi di Bilancio. Operazione fatta spesso in passato ricorrendo al maggior deficit. Il governo Conte però, su input dei due vicepremier e delle loro promesse elettorali, per neutralizzare gli aumenti deve trovare 23 miliardi di euro.

Difficile lavorare in deficit in questo caso perché, così facendo, il livello dell’indebitamento netto salirebbe ben oltre il tetto massimo del 3% del Pil, aprendo la strada a una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo. E le conseguenze le pagheremmo sui mercati con l’aumento del costo di finanziamento del nostro debito pubblico. Bisognerebbe e bisognerà, se vogliono mantenere le promesse Salvini e Di Maio, trovare altre soluzioni.

L’aumento dell’Iva però, nonostante invocarlo a poco più di un mese dalle elezioni sia più o meno come prospettare a Superman un banchetto a base di kriptonite, se fatto con criterio non sarebbe necessariamente un male. In primis perché il tanto temuto e paventato calo dei consumi, stando alle analisi e alle proiezioni, sarebbe nell’ordine dello zero virgola. E poi perché se l’aumento dell’Iva venisse accompagnato da un taglio delle imposte sul lavoro sarebbe, finalmente, quello spostamento del carico fiscale dalle persone e dal lavoro alle cose che tanti invocano.

È quella che i tecnici definiscono “svalutazione interna”, che si traduce in un aumento dell’Iva sui beni importati, sui beni di consumo, favorendo in tal modo le esportazioni e dunque le imprese. Non è un caso allora che anche Pier Carlo Padoan, uno che in economia ha idee decisamente diversa rispetto a quelle dell’attuale esecutivo, avesse fatto proposte simili. Ricevendo, comunque, un no come risposta. Non sarebbe un male dunque l’aumento dell’Iva ma a patto che…

A patto che fosse inserito, questo aumento, in un contesto di riforma fiscale e riorganizzazione generale dei criteri d’imposizione fiscale. Non sarebbe un male e sarebbe anzi, forse, un toccasana per la nostra economia e ancor più per il nostro asfittico mercato del lavoro. Resta e resterebbe un male però se fosse un aumento e punto.

Un aumento cioè di uno o più punti delle diverse aliquote Iva, a seconda di quanto sarà necessario trovare per far quadrare i conti, senza riforme e senza una visione più ampia dell’immediato. Quale strada intraprenderà il nostro governo lo scopriremo presto, già a fine maggio, quando le promesse elettorali dovranno lasciare il posto ai freddi conti della prossima manovra fiscale.