Un marziano a Finmeccanica-Enav: Fausto Simoni dirigente “mazzetta no”

di Riccardo Galli
Pubblicato il 23 Novembre 2011 - 15:39 OLTRE 6 MESI FA

foto Lapresse

ROMA – Fatture false, finti compromessi, società di comodo, finanziamenti non restituiti, “stecche” e scudi fiscali. Nella vicenda Finmeccanica, tra tangenti varie, s’incontra un po’ di tutto, almeno stando alla ricostruzione fatta dal pm Paolo Ielo. Ma all’interno di quest’universo dove c’era una mosca bianca, un milite ignoto, un marziano all’Enav: un dirigente incorruttibile. Il suo nome è Fausto Simoni.

“Ricordo che in una circostanza Selex mi mandò nell’ufficio di un dirigente, impermeabile alle richieste di Selex e impermeabile a ogni tipo di offerta di tangenti, per cercare di disincagliare la situazione. Vi andai ed egli mi manifestò le sue ragioni, devo dire valide. Tentai di offrirgli del denaro, facendogli capire la mia disponibilità in tal senso, ma mi resi conto che non avrebbe accettato nessuna retribuzione. Devo dire che più volte Pugliesi mi disse di sistemare la faccenda con tale dirigente, perché per lui rappresentava un problema”. Questo è il racconto che Tommaso Di Lernia ha fatto al pm Ielo e, secondo i magistrati, il dirigente incorruttibile, meritevole forse di una medaglia al valor civile, risponde appunto al nome di Fausto Simoni.

Un’autentica mosca bianca, o da un altro punto di vista la “pecora nera” . Un dirigente che si rifiuta di pensare al suo, di arricchirsi, un granello di sabbia in quello che appare più come un gigantesco ingranaggio per produrre proventi illeciti . Quello che, con un pizzico di retorica, potrebbe definirsi un eroe moderno.

Il mondo che circondava Simoni era fatto dall’intreccio diabolico tra appalti pubblici, fatture false e tangenti che il pm Ielo sta cercando di ricostruire. Il commercialista Marco Iannilli, in carcere, ha ammesso di avere emesso fatture false per lavori mai eseguiti per un importo di 800 mila euro a favore di Selex S. I., società del gruppo Finmeccanica. Iannilli ha confermato che l’illecito era stato commesso per creare fondi neri. E poi le tangenti, ben più consistenti dei fondi neri che puntualmente tornavano nelle tasche dei soliti noti attraverso Cipro, Svizzera, San Marino o l’Inghilterra.

Il faccendiere Lorenzo Cola, per esempio, gestisce per conto di Finmeccanica l’acquisizione di una grande impresa americana, la «DRS», eccellente nel campo dell’elettronica, e riceve 16 milioni di euro in provvigioni. Ed è Cola a dire che Luigi Martini, da poche ore ex presidente di Enav, ex calciatore della Lazio, ex pilota Alitalia, ex deputato di An, ha 2 milioni di euro depositati su un conto in Svizzera. Come fa a saperlo? Domanda il magistrato. E lui: “Un’operazione di cessione di un ramo di azienda, con sede credo a La Spezia. Martini la percepisce su un conto a Lugano, gestito da un fiduciario che non conosco”.

Lorenzo Borgogni poi ammette a verbale la liason con Martini: “Nel 2003 costituii la società SGi Consulting con la signora Casadio, moglie di Martini, e Sergio Felici con tre quote uguali. Nel 2005 costituii con la signora Casadio un’altra società, la C&I, rimasta inattiva”. I due soci Borgogni e Martini incassano poi un “premio” da 1 milione 250 mila euro ciascuno dalla società Simav. Una “cresta”, la definiscono più semplicemente i pm. E ovviamente la Svizzera. “Io – dice Borgogni – ricevetti due versamenti. L’intera somma è stata da me recentemente oggetto di scudo fiscale”. Intende dire che i soldi gli erano stati versati in Svizzera e li ha fatti rientrare in Italia di recente e a nome della moglie.

Sempre Cola, depositario di mille segreti, racconta come Borgogni abbia utilizzato i suoi fondi neri (pari a ben 5 milioni e 600 mila euro, frutto di tangenti varie, da lui definiti “compensi”, pagate da Italbroker, dal consorzio veneziano Ancv, dalla società Credsec di Lombardi Stronati). La prima operazione risale al 2007, quando Borgogni acquista una tenuta agricola a Montalcino. Cola gli suggerisce di chiedere un finanziamento alla sua banca svizzera depositando a garanzia una cifra analoga; basterà poi non restituire la cifra (dovrebbero essere 600 mila euro) e la banca procederà a incamerare il deposito.

Nel 2009, però, Borgogni ha l’esigenza di ingrandire il vigneto e comprare nuove attrezzature. Gli occorrono altri 800 mila euro. Cola anticiperà di tasca sua i primi 200 mila euro; altri 600 mila li metterà il compiacente Iannilli. Il trucco è raffinato: tra Borgogni e Iannilli si firma un finto compromesso e subito Borgogni intasca 600 mila euro di caparra. Ma siccome è inteso che l’atto di vendita non sarà mai perfezionato davanti a un notaio, la caparra resterà nelle tasche di Borgogni. Ma di sicuro Iannilli non ci rimette: a questo servivano le tre fatture false da 800 mila euro appena ammesse, a far sborsare i soldi da Selex. E per la cronaca il vino prodotto da Borgogni è un eccellente brunello, almeno secondo chi l’ha provato, e il caso ha voluto che fosse l’unico vino non abruzzese per le tavole del G8 dell’Aquila.