Tutto sciolto per Natale. Bersani, Monti, Berlusconi: ne resterà solo uno

di Riccardo Galli
Pubblicato il 20 Dicembre 2012 - 15:36 OLTRE 6 MESI FA
Mario Monti e Giorgio Napolitano (foto LaPresse)

ROMA – Tutto sciolto entro Natale. Riserve politiche e Camere del Parlamento entro Santo Stefano saranno archiviate. Già domani, 21 dicembre, la legge di stabilità sarà licenziata dal Parlamento e, a stretto giro e come promesso, arriveranno a quel punto anche le dimissioni di Mario Monti e il decreto scioglimento delle Camere firmato dal capo dello Stato Napolitano. Una volta formalizzato l’addio, il premier comunicherà quindi, ufficialmente, quale sarà la sua posizione, collocazione e strategia alle prossime elezioni, quelle di fatto fissate per il 24 e 25 febbraio 2013. Già il 23 dicembre potrebbe essere tutto fatto, in tempo per i pranzi e le cene natalizie e poi via, sino al 24 febbraio, con una a campagna elettorale che sarà alla fine una sfida a tre tra Mario Monti, Pierluigi Bersani e Silvio Berlusconi.

La data per le prossime elezioni già c’è, il 24 febbraio. Quello che manca, in un singolare testacoda temporale, sono le dimissioni del premier e lo scioglimento delle Camere che arriveranno però, entrambe, entro Natale. La legge di stabilità, ultimo traguardo per il governo Monti prima della dimissioni, sarà votata e approvata domani 21 dicembre. In meno di 48 ore, cioè già entro il 23, il premier si recherà al Colle e presenterà le sue dimissioni formali seguite dallo scioglimento delle Camere e dalla conferenza stampa dell’ormai ex primo ministro che ufficializzerà la sua scelta per le prossime elezioni. Passati cenoni e pranzi si aprirà a questo punto la campagna elettorale che vedrà in campo tre “big”: Monti, Bersani e Berlusconi.

Anche se manca ancora l’ufficialità quale sarà la scelta del Professore appare già da ora abbastanza chiara: appoggerà e sarà appoggiato da un “centro” politico che vorrà essere e apparire al tempo stesso idelogicamente moderato e radicalmente riformatore. Obiettivi: più del 15% dei voti da raccogliere con la lista Montezemolo, quella di Casini, forse quella di Fini e forse quella degli “esodati” del Pdl alla Frattini e Pisanu. Liste probabilmente divise alla Camera ma unite al Senato per seguire la contorta geografia delle legge elettorale. E, con almeno quel 15% in tasca, dar vita ad un governo di centro sinistra e non di sinistra centro, un governo con Bersani ma non di Bersani. Anche se è molto improbabile che di questo futuribile governo possa essere premier Mario Monti, forse non gli basterebbe neanche il 20 per cento e, come si dice, “il 15 non ce l’ha in tasca e non se lo porta da casa”.

Sarà candidato premier Mario Monti, sarà candidato di fatto. Ma darà in concessione il suo nome alle liste che a lui fanno riferimento o apertamente capeggerà lo schieramento? Stabilirà programma e candidati? Questo ancora non si sa per certo. Ma la sostanza è chiara. Punta il Professore ad essere punto di riferimento di uno schieramento centrista che almeno al Senato possa diventare ago della bilancia. Se infatti la maggioranza alla Camera pare senza ombra di dubbio destinata a Bersani e Vendola, molto più incerta è la situazione a palazzo Madama dove una maggioranza potrebbe addirittura non esserci o essere comunque molto risicata. Punta, in termini percentuali, Mario Monti a mettere insieme un 15% dei voti. Cifra che, se trasformata in senatori, potrebbe voler dire la possibilità per lui di orientare le scelte del prossimo governo. Possibilità di essere condizionante ed indispensabile. Con il vantaggio collaterale e voluto di tagliar fuori da ogni gioco Berlusconi.

Verificata l’inesistenza di un possibile accordo pre o post elettorale tra centro e destra, tra Monti e Berlusconi, quello che rimane fattibile e forse probabile è invece, di contro, l’accordo tra centro e sinistra. Ma se accordo sarà, sarà accordo post elettorale. Il Pd correrà insieme a Sel e Pierluigi Bersani, candidato premier e segretario dei democratici, punta a raggiungere quota 35% e passa con la coalizione dei progressisti, insomma lui, Vendola, il Psi, forse altri. Ma Bersani sa che probabilmente dovrà, ad urne chiuse, ottenere l’appoggio anche dell’area centrista. Fino a qualche tempo fa lo schema Bersani era semplice: vinco le elezioni con Vendola e poi governo anche con Casini.

Ora lo schema non è mutato ma si è fatto più complicato: Monti punta ad un governo, diciamo per intenderci di centro-centro-sinistra.  Bersani  puntava a un sinistra centro già complicato con Casini che diventa addirittura arduo con Monti. Ce lo vedete Monti fare il ministro dell’Economia  in un governo dove siede Vendola? Sinistra-centro o centro-sinistra: sembra ozioso gioco di parole ma così non è. Facciamo un esempio: se al senato Bersani dovesse trovarsi senza maggioranza, l’appoggio di Monti diverrebbe essenziale ed indispensabile, partorendo quindi un governo di centro-sinistra. Se invece al Senato la maggioranza Bersani l’avesse, l’appoggio di Monti diverrebbe utile, auspicabile, prezioso, gradito all’Europa ma non indispensabile. Ed ecco quindi il governo di sinistra-centro.

Manca il terzo incomodo, manca Berlusconi. Fallito il disperato tentativo di accaparrarsi Monti e accreditarsi come schieramento dei moderati il cavaliere si ritrova nella condizione di fare concorrenza a Grillo, con la differenza non da poco di avere dalla sua le televisioni. Televisioni e mezzi d’informazione che Berlusconi ha deciso di presidiare in modo militare. Dalla D’Urso in poi la sua presenza in tv è diventata più o meno una costante e tale rimarrà il più a lungo possibile, almeno nelle intenzioni del cavaliere. Berlusconi punta in questo momento a chiudere in primis un accordo con la Lega e a raggiungere il 20%, nella speranza di poter fare anche lui uno sgambetto al Pd almeno al Senato. Contro il “comunista Bersani”, contro Monti “piccolo personaggio”, contro la Merkel, lontano e diffidente dell’euro e dell’Europa: questo è il Berlusconi che ci aspetta. Più o meno quello di sempre, però con la forza distruttiva di chi ha poco da perdere. Berlusconi e le liste che si alleeranno con lui o arrivano seconde alle elezioni e prime in Lombardia, Veneto e Sicilia o sono politicamente “morte”.

Partita a tre: Bersani parte favorito, Monti è un’incognita, Berlusconi una carta conosciuta del mazzo. Partita a tre e alla fine ne resterà solo uno, anche se di veri “immortali” non ce n’è, anche dovesse sembrare che in piedi ne sono rimasti due.