Pensioni: “Lasciatele stare!” Duemila euro netti non sono ricchezza

di Riccardo Galli
Pubblicato il 9 Ottobre 2013 - 14:14 OLTRE 6 MESI FA
Il ministro del Welfare Enrico Giovannini (LaPresse)

Il ministro del Welfare Enrico Giovannini (LaPresse)

ROMA – Qualcuno spieghi al governo che, come le rendite catastali oltre i 750 euro non sono sinonimo di ricchezza, le pensioni da 3 mila euro lordi (2000 netti) non sono benessere. Il ministro del welfare Enrico Giovannini ha appena annunciato che per le pensioni da 6 volte il minimo, cioè quelle che portano realmente in tasca circa 2 mila euro netti al mese, anche per il 2014 scatterà il congelamento. Non saranno adeguate all’inflazione dopo gli stop già introdotti dal governo Monti ma, come rivendica l’editoriale del Corriere della Sera, è ora di finirla, è ora di “lasciare stare i pensionati”. Duemila e rotti euro al mese, dopo una vita di lavoro, non sono ricchezza e nemmeno benessere. Sono sopravvivenza dignitosa, specie in un Paese come il nostro dove, come certificano innumerevoli studi, spesso e volentieri i nonni e i pensionati contribuiscono in modo decisivo alle economie familiari.

Scrivono Massimo Fracaro e Nicola Salduti:

“Ci deve pur essere una tregua per chi, dopo anni di lavoro, aspira legittimamente al raggiungimento della pensione. Una tregua dal cambiamento che verrà: perché le riforme pensionistiche sono come le ciliegie. Una tira l’altra. Ci deve pur essere una tregua dalle continue dichiarazioni dei ministri e dei parlamentari. Una tregua dall’incertezza sull’età alla quale si avrà il diritto di lasciare il posto di lavoro. Eppure questa tregua appare un miraggio. (…) Certo, il vincolo dei conti ha costretto i governi a intervenire più volte sul sistema pensionistico. La riforma Fornero consentirà di risparmiare qualcosa come 93 miliardi di euro. Prima c’erano stati Amato, Dini, Maroni, Prodi: le riforme previdenziali sono state probabilmente gli interventi che più hanno consentito di tenere l’Italia a galla. E in qualche modo i pensionandi, e i pensionati, hanno il merito di aver fatto i sacrifici necessari per aiutare i conti pubblici. Ma è arrivato il momento di lasciarli, in qualche modo, stare. Di cercare altrove le risorse necessarie.

Prendiamo l’audizione tenuta ieri dal ministro del Welfare, Enrico Giovannini, alla Camera. Per le pensioni oltre sei volte l’assegno minimo, quindi pari a circa 3.000 euro lordi al mese (poco più di 2.000 netti), anche per l’anno prossimo scatterà il congelamento. Traduzione: non potranno essere indicizzate all’inflazione come invece accade per i redditi più bassi. Ricordiamo che le pensioni oltre i 1.800 euro sono già state congelate dal 2011 dal governo Monti e per ben due anni non sono state adeguate al caro vita. Il blocco di due anni, però, comporta una perdita che si ripercuote per decenni e sterilizza gli effetti moltiplicativi degli adeguamenti (non si prendono gli aumenti sugli aumenti). E bisogna anche tenere conto che dal 1992 tutte le rendite non sono più agganciate agli aumenti contrattuali dei lavoratori in attività, come avveniva nella Prima Repubblica. Ma solo all’inflazione (e in modo parziale). In vent’anni, insomma, gli assegni Inps hanno visto evaporare il loro potere d’acquisto. (…) Sono davvero questi i ricchi o i pensionati d’oro ai quali chiedere altri sacrifici di fronte a una spesa pubblica di 800 miliardi? Sembra proprio di no. Certo, il congelamento riguarda una parte dei pensionati, visto che circa il 50% delle rendite non supera la soglia dei mille euro mensili. Ma definirle pensioni d’oro è scorretto. E poco rispettoso per le persone che, legittimamente, con il loro lavoro, hanno versato i contributi per ricevere una pensione.

Certo, gli assegni previdenziali d’oro esistono, ma su quelli, finora, non si sono visti interventi così veloci come il percorso parlamentare che li ha introdotti. In beffa di ogni risparmio. E di ogni equità sociale”.

Il Partito Democratico, prima forza di governo e partito del premier Enrico Letta, ha appena ritirato il discusso emendamento sull’Imu che avrebbe fatto pagare la prima rata alle case considerate di lusso. Il parametro scelto come spartiacque tra chi avrebbe pagato e chi no era la rendita catastale, dai 750 euro si paga, sotto no. Peccato si sia scoperto che una rendita catastale di 750 euro la da anche un monolocale di 36 metri quadri a Roma. Ricchezza? Certamente no, ma nemmeno benessere. Il parametro dei 3 mila euro lordi per il blocco dell’indicizzazione sembra arrivare dallo stesso suggeritore usato per l’Imu.

Dire che il blocco vale per le pensioni da 6 volte il minimo suona giusto, 6 volte è tanto, ma non è vero, è il minimo che è poco, al limite del ridicolo. Il minimo è di poco più di 500 euro e sfido chiunque a definire un reddito simile non da fame. Sei volte il minimo non è allora poi tanto ma è, come la realtà dei fatti insegna, parente di quei 36 metri quadri. Duemila euro netti, pur sorvolando sul fatto che sono un diritto maturato in anni di lavoro, non sono ricchezza e non si possono chiedere sacrifici sempre agli stessi. Una pensione di 2000 euro, con dieci anni di blocco, finisce col passare da assegno dignitoso a reddito da fame.

Recuperare l’evasione e far pagare i soliti odiosi evasori è complesso, metter mano ai centri di spesa che molto sprecano sarebbe più semplice ma, non si può chiedere di stringere la cinghia sempre agli stessi. Anche perché, in questo caso, quelli che la cinghia devono ancora una volta stringere, sono già magrissimi, un altro buco e finiranno soffocati.