Quirinale, le prime tre si vota contro Renzi. Se da M5S a Fitto fanno 300…

di Riccardo Galli
Pubblicato il 15 Gennaio 2015 - 14:25 OLTRE 6 MESI FA
Elezioni del Presidente della Repubblica 2013

Elezioni del Presidente della Repubblica 2013 (foto Lapresse)

ROMA –  Matteo Renzi ha pensato: alle prime tre votazioni per il presidente della Repubblica nessun candidato, scheda bianca. Poi alla quarta un candidato che diventa Capo dello Stato.  Tutti quelli che vogliono abbattere il piccione Renzi con la fava dell’elezione presidenziale stanno pensando: alle prime tre votazioni un candidato a dispetto di Renzi, capace di smontare le alleanze e le strategie politiche del presidente del Consiglio. E se tutti insieme facciano trecento inchiodiamo Renzi, come fa poi Renzi dalla quarta votazione a ripudiare un candidato che ha già fatto trecento e più voti a suo favore?

E a trecento come si arriva? Si arriva, se ci si arriva, sommando i voti M5S, degli ex M5S, di Sel, di quella parte di Forza Italia ribelle a Berlusconi, di quella parte del Pd ribelle a Renzi. In numeri: 136, più 26, più 34, più cinquanta di Fitto, più settanta e più (ora sono solo cinquanta) di Bersani, D’Alema, Cuperlo, Fassina, Civati… Magari si aggiunge anche la Lega…Magari il Pd scivola, slitta e sono cento i suoi disobbedienti e allora Renzi perde, obiettivo raggiunto. E se a trecento non si arriva neppure con la strana e “santa alleanza” conro Napoleone-Renzi, se l’alleanza resta stramba e solo stramba, beh sarà pur stata una battaglia di testimonianza.

Alla quarta, magari alla quinta e forse addirittura entro gennaio. E’ il mantra e la strategia che da giorni il premier Matteo Renzi va ripetendo e ribadendo per la scelta del prossimo Capo dello Stato certo, nei limiti del possibile, di essere lui il mazziere della partita. Alla quarta perché è da questa votazione che sarà sufficiente la maggioranza assoluta ma, proprio nelle prime tre chiamate, votazioni in cui l’idea del governo e della maggioranza è per ora di votare scheda bianca, si nasconde un’insidia per il capo del governo.

A tutti o quasi, addetti ai lavori e non, è parso che la previsione del premier secondo cui il successore di Napolitano sarà scelto dopo le prime tre votazioni, cioè quando sarà caduto l’ostacolo della maggioranza qualificata che corrisponde a poco più di 700 grandi elettori, è parsa come un’analisi figlia del buon senso. Difficile infatti immaginare di poter mettere insieme una simile armata di grandi elettori, capace di tener uniti la maggioranza di governo e buona parte di Fi e M5S, e quindi di eleggere con questa il nuovo Presidente.

Ma se anche rientra obiettivamente nella sfera dell’altamente improbabile, per non dire impossibile, un’elezione del Capo dello Stato con un simile consenso, non vuol dire questo che le prime tre votazioni passeranno senza lasciare il segno.

L’ipotesi che Renzi ha forse sottovalutato e che starebbe prendendo piede in questo momento, e testimonianza ne sono gli incontri a vario livello tra le ali “dissidenti” del Pd e di Fi, è infatti quella di confezionare una sorpresa sgradita al premier proprio nelle prime tre votazioni che potrebbero diventare le più adatte per votare, in sostanza, contro Renzi.

Non è una certezza e nasconde il disegno, obiettivamente, non poche insidie. Ma se nelle citate votazioni si componesse un fronte capace di mettere insieme i 136 elettori pentastellati con i 26 ex del Movimento, più i 34 di Sel, gli almeno 50 antirenziani di ferro del Pd (che potrebbero anche salire ad una settantina) ed i 50 di Raffaele Fitto, sarebbe questa non una maggioranza ma certo una voce difficilmente ignorabile.

In altre parole, se i circa 300 membri di questo ipotetico fronte trasversale trovassero un accordo su un nome, poniamo giusto per bisogno di esempi quello di Romano Prodi (ma ci sono altri nomi utilizzabili alla bisogna), e lo votassero durante i primi scrutini, creerebbe questo un problema non da poco al premier e alla maggioranza. Non sarà infatti il nome di Prodi quello che mai potrebbe uscire da una simile compagine, specie in funzione della presenza dei fittiani, ma se una personalità simile ottenesse quasi un terzo dei consensi nelle prime tre votazioni, sarebbe poi difficile ignorarlo e preferirgli altri a partire dalla quarta. In pratica, un simile fronte potrebbe mettere il premier nella condizione di non scegliere lui, o comunque di non guidare lui la scelta del candidato trovandosi, nei fatti, un nome imposto o quasi dai suoi più acerrimi avversari.

Tempo fa, quando la politica era considerata cosa alta e quando esistevano i partiti, si tutelavano questi rispetto a simili circostanze attraverso quello che era definito “candidato di bandiera”. I missini candidavano Giorgio Almirante, il Pci un comunista, i repubblicani uno del Pri…Un nome rispecchiava l’identità del partito e teneva il partito unito nel voto di identità ma nessun candidato di bandiera aveva la “funzione” politica di essere realmente candidato come nessunissima chance di essere realmente eletto. Però il partito restava compattamente rappresentato e le strambe alleanze erano improbabili e quasi impensabili. Ma può oggi Renzi offrire al Pd un candidato di bandiera alle prime tre votazioni mentre Berlusconi fa altrettanto e Grillo pure?

Oggi però i partiti non esistono più in quanto gruppo ed ipotesi politiche omogenee. Da questo punto di vista il Pd men che mai (non a caso Renzi si preoccupa perfino dei tweet e troll in partenza verso i grandi elettori Pd) ed è difficile immaginare che il Pd possa trovare un accordo su un nome “di bandiera” quando già la sintesi per arrivare ad un candidato vero e condiviso è tutt’altro che semplice. Ma la strategia della scheda bianca ai primi tre colpi ha un lato scoperto. Lì attaccheranno, chissà se sarà il ruggito dei trecento crescenti o il ruttino dei duecento calanti.