Se arriva lo “zio di Pechino”… Ecco dove la Cina può metterci i soldi

di Riccardo Galli
Pubblicato il 28 Marzo 2012 - 15:44 OLTRE 6 MESI FA

Hu Jintao (Ap-Lapresse)

ROMA – E se i soldi ce li mettessero i cinesi? Come scrive Mario Alfieri su La Stampa: “Senza leva keynesiana e (senza) un programma di grandi investimenti pubblici spinti dal’Ue”, i fondi necessari a far ripartire e dar nuova vita all’asfittica economia italiana bisogna cercarli da qualche altra parte. E chi meglio della Cina, con una montagna di riserve accumulate stimate in 3500 miliardi di dollari, quasi il doppio del nostro debito, potrebbe interpretare questo ruolo? Probabilmente nessuno. Peccato però che il gigante cinese abbia sinora pressoché ignorato il nostro Paese: gli investimenti diretti in entrata dalla Cina sono stati appena 181 milioni di euro nel 2009 e addirittura 65 nel 2010. Una miseria. Investimenti scoraggiati dalla nostrana burocrazia, dalla corruzione, dalla lentezza della nostra economia. Una situazione che però ora potrebbe cambiare: “dirò di investire in Italia” ha detto il presidente cinese Hu Jintao. E le imprese di Pechino sono tutt’altro che sorde alle indicazioni che gli arrivano dalla politica.

Tra pressione fiscale in continuo aumento, contrazione dell’economia, diminuzione del poter d’acquisto e pareggio di bilancio, trovare il grimaldello per ridare vita all’economia italiana è come cercare un ago in un pagliaio. La crisi ha poi toccato e tocca più o meno tutta l’Europa, così di grandi investimenti capaci di rivitalizzare un paese non se ne vedono nemmeno a livello continentale. La soluzione va cercata quindi altrove. E un effetto collaterale della cura Monti cui il nostre Paese è sottoposto, sembra essere quello di aver risvegliato l’interesse di chi i soldi necessari a stimolare la nostra economia potrebbe averli: la Cina. Pechino che sinora ha sempre evitato il nostro Paese, spaventata dalla troppa burocrazia e dalla diffusa corruzione, dall’incertezza e dalla lentezza che caratterizzano l’Italia. Ostacoli che la gestione di questo governo sembra attaccare, per rimuoverli ci vorrà tempo, ma il presidente Hu Jintao ha dimostrato di crederci.

Dopo l’incontro di Seoul con il presidente cinese, l’opera di Monti continuerà con una visita ufficiale in Cina e, più o meno contemporaneamente, una delegazione cinese ha visitato il nostro Paese per vedere dal vivo cosa e come sta cambiando. Oltre che per individuare settori d’investimento potenzialmente interessanti per l’economia cinese ovviamente. I soldi i cinesi potrebbero sì metterceli, ma ovvio è che il loro aiuto non è disinteressato. Investire in Italia sta diventando anche dal loro punto di vista un affare conveniente. E non solo perché con la crisi anche ricchi colossi europei navigano in cattive acque e sono potenzialmente “svendibili”.

Barack Obama saluta Mario Monti al vertice sulla sicurezza nucleare a Seoul (Ap-Lapresse)

Ma anche perché l’Italia comincia ad avere qualcosa che alla Cina interessa. La cura montiana incrocia infatti un momento di transizione cinese, momento in cui nel paese del dragone sta prendendo piede un’economia più attenta ai consumi interni a maggior valore aggiunto. Pechino ha necessità quindi di acquisire quel mix di tecnologie mature e di abilità tecniche da riversare in quelle industrie strategiche indicate nel 12° piano quinquennale: biotecnologie, Information Technology, materiali innovativi, energie rinnovabili, combustibili alternativi, protezione ambientale. E non può che farlo all’estero.

Cosa potrebbe però in concreto interessare alla Cina? Un’idea la fornisce la lista di imprese che da poco hanno visitato Roma al seguito del vice ministro dell’economia Jiang Yiaoping: ad esempio il gigante dell’energia elettrica Harbin Electric, che ha sedi dal Vietnam al Sudan alla Turchia e una capacità di 20mila Mw; Sedin, conglomerato molto forte nell’industria chimica; LiuGong, che possiede il 14,5% di quota mondiale nella fabbricazione di ruspe; Henan Deng Feng, specializzata nella lavorazione del carbone e del cemento; oppure Bejling, attiva nel trattamento e distribuzione delle acque in 18 province cinesi. Settori in cui l’Italia è in grado di fornire tecnologia utile.

Ma non solo. Abbiamo accennato alla “svendita”, ai “prezzi d’occasione” che la crisi ha generato, altro settore certamente interessante per la Cina, che si dimostra infatti sensibile anche a quelle che vengono definite “partecipazioni strategiche”. Al centro degli interessi i gioielli della nostra industria militare, quote di Enel e soprattutto di Eni: “Si sa che Pechino sta cercando di sviluppare gas da scisti bituminosi (detto anche gas non convenzionale) e, proprio con il cane a sei zampe, suo concorrente in Africa, potrebbe avviare progetti per la cattura di gas dannosi”, rivela una fonte alla Stampa. E poi “c’è interesse per Alitalia, nella logica dell’Italia piattaforma tra Africa e nord Europa, e per la portualità. Con la Grecia in crisi, sarà utile capire la politica logistica del nuovo governo…”.

Diversi gli scenari quindi che possono concorrere ad un rinnovato interesse cinese per la nostra economia. Per noi sarebbe più o meno come la manna dal cielo se si riuscisse a portare l’interscambio Italia – Cina a quegli 80 miliardi di dollari entro il 2015 che i due paesi auspicano nei documenti ufficiali. Se la Cina ci mettesse quindi i soldi, noi saremmo felici, perché da soli non sembriamo avere i mezzi per rilanciare l’economia in modo deciso.