Stadi aperti: no in piedi, striscioni, bandiere, abbracci…come in discoteca

di Riccardo Galli
Pubblicato il 21 Settembre 2020 - 11:25 OLTRE 6 MESI FA
Stadi aperti Italia: no in piedi, striscioni, bandiere, abbracci...come in discoteca

Stadi aperti: no in piedi, striscioni, bandiere, abbracci…come in discoteca (nella foto Ansa, gli spettatori di Juve-Sampdoria)

Ingressi e uscite scaglionati, mai in piedi, senza bandiere e senza tifo… Dopo il via libera ai primi mille tifosi sugli spalti di serie A, saranno queste le regole per tornare allo stadio.

E fare degli stadi aperti le discoteche d’autunno, con delle regole scritte da chi allo stadio sembra non essere stato mai.

Stadi aperti: il via con la prima giornata di serie A

Con la prima giornata, eccezion fatta per gli anticipi del sabato, sono potuti tornare allo stadio mille tifosi a partita. Tifosi su invito, i mille posti consentiti da alcune Regioni prima e poi, a rimorchio, dal governo e dal ministro Spadafora, sono infatti tifosi non paganti ma invitati dalle società o dagli sponsor.

Obiettivo 15mila tifosi

Ma, è la speranza del mondo del calcio, questo dovrebbe essere il primo passo per arrivare prima dell’inverno ad una soluzione almeno come quella tedesca, che consente ingressi pari al 20% della capienza degli stadi. Per fare un esempio a San Siro, che di posti ne ha circa 90mila, potrebbero in quel caso entrare poco più di 15mila tifosi.

Tifosi che dovranno andare a seguire la loro squadra del cuore avendo prenotato prima il posto, che dovranno indossare la mascherina sempre o quasi e che dovranno stare seduti senza mai alzarsi in piedi. E poi bandiere, striscioni e qualsiasi altro materiale ‘da tifo’ vietato, distanza interpersonale di 2 metri e uscite guidate dall’altoparlante.

Le regole simili a quelle delle discoteche

Per chi allo stadio è stato, per chi ha anche solo sfiorato il mondo del tifo sono queste regole che suonano sinistramente simili a quel ‘ballate distanziati’ nelle discoteche che ha contribuito alla crescita dei contagi di quest’estate.

Non c’è infatti bisogno di essere un sociologo e nemmeno un ultras per sapere come funzione la vita allo stadio, per sapere che al gol ci si alza, che al tiro sbagliato s’impreca e si urla (con annessa emissione di particelle potenzialmente cariche di virus) e che al bagno, dove l’accesso sarebbe scandito da contapersone, si va tutti nell’intervallo.

Immaginare uno stadio con simili regole è come immaginare la discoteca col distanziamento, il bancone del bar con i posti distanziati, la pista da ballo dove mantenere le distanze… E’ un esercizio di immaginazione che nelle vita reale appare impossibile da realizzare. E la cronaca di quest’estate ne è la conferma.

Quella voglia di vita normale

Tornare alla vita normale è un desiderio di tutti. E anche tornare allo stadio è un desiderio non di tutti ma di molti, calciatori compresi perché giocare in uno stadio vuoto non è certo la stessa cosa. E’ un desiderio e un bisogno poi per le società che senza stadio hanno visto e vedono ridursi le entrate, mancano quelle dei biglietti e si raffredda anche il tifo da casa. Tutto vero e tutto comprensibile.

Ma è anche vero e noto come la sfida tra Atalanta e Valencia sia stata un volano di contagi ad inizio pandemia. Forse – complice l’andamento dei contagi in Europa e nel mondo – porterà a più miti consigli e la riapertura sarà rimandata ancora. Ma sarebbe stato bello vedere le stesse pressioni avute per aprire discoteche e stadi, fatte per riaprire le scuole.