ROMA – La ‘Tobin Tax’ all’italiana, più che un freno agli speculatori, sembra avere i contorni di una nuova tassa. In fondo ‘tax’ in inglese questo significa: tassa. Ma nelle intenzioni del suo ideatore, come nelle speranze di tutti quelli che da tempo la invocano, doveva essere una tassa particolare, diversa. Buona sì per far gettito, ma soprattutto per porre un freno alla speculazione finanziaria responsabile, tra l’altro, della crisi che stiamo vivendo. E invece il Corriere della Sera titola: “Pagata dai risparmiatori, si applica anche ai cassettisti”, cioè a quelli che non speculano mai ma solo risparmiano e investono. Due milioni di italiani danneggiati secondo il quotidiano. Esagera o coglie nel segno il Corriere della Sera?
Inserita nella legge di stabilità, ancora da approvare e quindi potenzialmente modificabile, la Tobin tax nazionale introdurrebbe un prelievo dello 0,05% da applicare alle compravendite azionarie in capo a residenti italiani. Il nostro Paese, con questa misura, anticiperebbe un possibile, probabile piano a livello europeo che discuterà di una possibile Tobin tax continentale nell’Ecofin di metà novembre.
Primi gli italiani quindi, per una volta. Ma la Tobin tax, come ha ricordato per ultimo Giuseppe Vegas, presidente della Consob, ha bisogno di respiro europeo se non addirittura globale, pena l’impossibilità di avere “ragionevoli possibilità di successo”. E questo perché una tassazione di questo tipo, applicata da un solo mercato, si tradurrà con ogni probabilità nella “fuga” dal mercato che la applica a favore di tassazioni più dolci, con un conseguente, deciso, depotenziamento del mercato in questione. Senza una tassazione in questo senso armonica almeno a livello europeo rischia quindi di diventare, invece che un arma per contrastare gli “eccessi” della finanza, una semplici nuova, ennesima tassa in capo ai risparmiatori.
Il prelievo si applicherebbe certo agli “high frequency trader”, i compratori abituali di titoli, vale a dire le banche e gli investitori istituzionali (fondi comuni, fondi pensione, tesorerie delle imprese). Ma anche agli utilizzatori dei loro servizi. Ai piccoli risparmiatori con una quota di azioni in portafoglio e piccoli trader, quelli che comprano e vendono in proprio con il computer azioni e future. Colpendo in questo modo non solo e non principalmente i grandi speculatori, ma tutti. E anzi, in un panorama con una Tobin tax solo italiana sarebbero certo i grandi speculatori quelli meglio attrezzati per migrare e sfuggire al prelievo, lasciando sul campo solo i “pesci piccoli” e spesso innocui.
Anche perché il meccanismo contenuto nel provvedimento in questi giorni in discussione aggiungerebbe una terza tassa agli investimenti di tipo azionario: la prima – scrive il Corriere della Sera – è l’aliquota del 20% sul capital gain e dividendi (oggi solo i titoli di Stato pagano ancora il 12,5%), la seconda è la ‘patrimonialina’ dell’un per mille, 1,5 per mille dal 2013. La terza appunto la Tobin tax, tassa che porterebbe nelle casse pubbliche circa un miliardo di euro ma difficilmente potrebbe mettere un morso agli eccessi speculativi. E tassa che, si stima, ridurrà del 30% le transazioni azionarie e dell’80% quelle sui derivati.
Scrive Wikipedia: La Tobin tax, dal nome del premio Nobel per l’economia James Tobin, che la propose nel 1972, è una tassa che prevede di colpire tutte le transazioni sui mercati valutari per stabilizzarli (penalizzando le speculazioni valutarie a breve termine), e contemporaneamente per procurare entrate da destinare alla comunità internazionale. L’aliquota proposta sarebbe tra lo 0,05% e l’1%. I suoi sostenitori affermano che ad un tasso dello 0,1% la tassa Tobin garantirebbe ogni anno all’incirca 166 miliardi di dollari, il doppio della somma annuale necessaria per sradicare dal mondo la povertà estrema. I suoi detrattori sostengono che la cifra realmente incassata sarebbe molto minore visto che il grosso delle transazioni finanziarie sono fatte per lucrare sulle micro variazioni dei prezzi e sarebbero insostenibili con la tassa. Si cita l’esempio del tentativo svedese effettuato nel 1984 di applicazione di una tassa simile che portò ad incassi inferiori del 75% di quanto preventivato a causa della diminuzione del numero di transazioni. La Svezia cancellò la tassa nel 1992.
Se Tobin sarà, speriamo che questa volta l’Europa ci stia dietro, appena pochi passi dietro. Francia e Germania hanno promesso, la Gran Bretagna si è già sfilata. La Tobin tax dovrà diventare in fretta una tassa europea, nelle intenzioni dovrebbe addirittura finanziare un fondo di “calamità” per banche in crisi. Su scala domestica la Tobin italiana è stata voluta soprattutto dal Pd e dalla sinistra in genere ma il miliardo che potrà portare su scala italiana è già stato “piazzato” dai partiti almeno dieci volte in altrettante poste di spesa. Sulla Tobin Mario Monti non era entusiasta, è andato a rimorchio, si è lasciato spingere da Hollande e Bersani. L’Italia è partita, l’Europa seguirà, altrimenti avremo solo una tassa tutta nuova. E quanto al Corriere della Sera per ora alza e gonfia un po’ i toni ma non parla a vanvera.
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