Riforma giustizia: Berlusconi non è Carlo I

di Mario Lenzi
Pubblicato il 2 Gennaio 2010 - 14:45| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Le riforme, tutti le vogliono, nessuno le piglia, perché ognuno le vuole come gli pare, intese a misura sua. L’onda del partito dell’Amore, creato da un Berlusconi particolarmente ispirato, ci sta sommergendo in un mare di ipocrisie e di buoni propositi, che si celano in discorsi alti ma preannunciano catastrofi.

 Prendiamo la Giustizia. In Italia una riforma è assolutamente necessaria, perché la Giustizia è lenta, inadeguata, burocratica. Tutti sanno che non è uguale per tutti. Ma se si ha intenzione di riformarla pensando soprattutto, con apposite leggi, a salvare Berlusconi da processi e condanne,  il cittadino rischia di fare la fine del capro espiatorio, o se si preferisce, del whipping boy, il fanciullo che a Corte , prima della Rivoluzione, era allevato insieme col futuro re e veniva frustato in sua vece, quando il principino faceva qualche marachella.

L’istituzione del whipping boy aveva una sua logica, per quanto spietata. La persona del principe era sacra e non si poteva toccare. Ma si presumeva, che, vedendo frustare ingiustamente il suo preferito, il futuro re provasse rimorso e acquistasse consapevolezza del male compiuto. Probabilmente era proprio così. Ma Berlusconi non è Carlo I d’ Inghilterra e ora sarebbe assai difficile trovare la crudele raffinatezza della sua Corte alla reggia di Arcore. Sarebbe sorprendente che, salvando sé stesso, Berlusconi provasse rimorso per le frustate che in sua vece prende il Popolo. 

Non siamo più nel Seicento inglese. E nemmeno nel Nocevento russo. Un grande storico ha interpretato le vicende dei primi anni della rivoluzione russa come la lotta di un gruppo di intellettuali rivoluzionari testardamente determinati, ma molto idealisti, contro la arretratezza e la brutalità della natura umana. Costoro avevano idee assai libertarie anche in materia sessuale. Ma le teorie sul libero amore andavano forse bene quando ad applicarle erano esangui intellettuali e femministe d’avanguardia. Quando furono acquisite dalle masse, abituate a un ben altro modo di fottere senza preoccuparsi di aborti e neonati ( era lo Stato, secondo loro, che doveva pensarci) crearono un mare di guai.

L’unico personaggio sufficientemente rozzo e incolto per capire da dentro le condizioni della società russa fu forse Stalin, con quel che ne seguì. Fu Stalin che riuscì, nel 1935, a porre un freno all’abbandono dei bambini, che dilagava negli strati più poveri e arretrati della società sovietica anche sotto l’ impulso delle idee libertarie, e che invano il Politburo e le autorità periferiche avevano cercato di limitare. E ottenne quel risultato con il suo sinistro decreto (applicazione su scala gigante del principio del whipping boy) nel quale si minacciava semplicemente di eliminare i bambini che fossero stati trovati in stato d’abbandono. Ben pochi da allora ebbero il coraggio di arrivare al punto di sbarazzarsi dei figli confidando nel provvidenziale intervento dello Stato.

Abbiamo difficoltà a fare questi esempi estremi, perchè i tempi dei giganteschi tiranni e dei monarchi raffinati e crudeli sembrano almeno da noi definitivamente tramontati. E ascoltare le dissertazioni di Calderoli e di Cicchitto sulla riforma della Giustizia ci fa cadere, come si dice, le braccia. Ma ci sembra ingiusto e pericoloso che quel Popolo, che viene continuamente evocato come depositario unico della legittimità del Potere, sia ancora una volta ingannato con una rforma che crea ulteriori squilibri e nuove corsie preferenziali.

Se una riforma della Giustizia si impone, dovremmo ricordarci che non c’ è alcun Licurgo, non c’è alcun Solone fra noi. Non c’è nemmeno la robusta monarchia di Sparta o la democrazia per pochi di Atene. Non è con le leggi ad personam e con il taglio dei processi che si risolvono i problemi di un popolo estremamente litigioso. Da noi si è propensi a credere che i diritti nostri non siano anche quelli degli altri. E anche se è doloroso ammetterlo, forse è meglio, a scanso di nuovi guai, lasciar tutto com’è.