Riforma Senato, Costituzione e federalismo: il pendolo dalle Regioni allo Stato

di Marcello Degni
Pubblicato il 24 Luglio 2014 - 08:00| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Riforma Senato, Costituzione e federalismo: il pendolo dalle Regioni allo Stato

Riforma Senato, Costituzione e federalismo: il pendolo dalle Regioni allo Stato

ROMA – E’ proprio vero che, alla fine, i nodi vengono al pettine. Dopo un quindicennio di apparente forsennato federalismo il pendolo ha finalmente invertito la sua corsa. Le competenze legislative concorrenti tra lo Stato e le Regioni, causa di abnorme contenzioso presso la corte costituzionale, sono eliminate. Lo Stato ritorna a essere competente, in modo esclusivo, in molte materie.

Il senso della logica, prima dell’equilibrio, è ripristinato. Ricordo ancora, nel 2001, lo sconcerto del senatore Carlo Smuraglia, presidente della commissione lavoro del Senato, per la collocazione della materia “tutela e sicurezza del lavoro” tra la legislazione concorrente. Quasi si potesse immaginare una tutela diversa tra Emilia Romagna e Sicilia. Non si poteva eccepire, neppure con un ordine del giorno, perché altrimenti il progetto non sarebbe stato approvato in tempo per fermare l’ondata leghista, a quei tempi montante. I risultati sono noti.

Ora si corregge. Bene. Le competenze legislative delle Regioni sono alleggerite e ricondotte al rispettivo ambito territoriale (pianificazione regionale, organizzazione del sistema sanitario, sviluppo economico locale e servizi regionali alle imprese, formazione professionale, diritto allo studio, anche universitario – ferma restando l’autonomia delle scuole; attività culturali, valorizzazione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, turismo, il tutto sempre a livello regionale).

Viene inoltre, a chiusura, affermato che “su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.

Alle Regioni è conferita, in attuazione della riforma costituzionale del 2012 (equilibrio di bilancio) potestà legislativa per la “regolazione delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di finanza pubblica”.

Fin qui bene. Incoerente appare invece il mantenimento alle Regioni della riserva di legislazione “in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato”. Non è molto rilevante. Se dovesse emergere una nuova materia d’interesse generale, si aggiungerà una nuova lettera alla lista dello Stato che, con la riforma, è stata rimpolpata fino alla lettera z).

Bene anche, per le autonomie territoriali, la nuova configurazione del Senato. “Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali”. Questo sarà il suo lavoro fondamentale, di camera di compensazione delle esigenze e dei punti di vista dei territori. Si potranno eliminare, assorbire, riconsiderare le numerose commissioni istituite per attuare il federalismo fiscale (e non solo) e lo stesso sistema delle conferenze, ipertrofico e farraginoso.

L’elezione di secondo grado, tra rappresentanti regionali e comunali, e la correlazione della carica di senatore e rappresentante locale, rafforza la connotazione territoriale della nuova camera.

Due (o tre) le correzioni da fare. La geometria variabile, saggiamente espunta nel testo governativo, è riproposta, in forme addirittura meno protette rispetto al 2001. Era necessaria, nella versione originaria, la maggioranza assoluta dei componenti delle due camere per ottenere, al termine di un procedimento complesso, la “devoluzione” di ulteriori materie, mentre in quella attuale si prevede solamente la approvazione della legge anche da parte del Senato (rispetto al procedimento monocamerale normale).

La geometria variabile, anche a sfera ridotta, venute meno le numerose competenze concorrenti, è pericolosa e inadatta al nostro sistema. Spingerebbe a trascurare ancor di più le parti del territorio più problematiche, anziché operare per ridurre gli squilibri. Potrebbe avere riflessi negativi sulla finanza pubblica, tant’è che è subordinata al conseguimento dell’equilibrio finanziario da parte della Regione. Toglierla sarebbe un bene.

L’altra anomalia, anche questa assente dal testo del governo è la costituzionalizzazione del criterio di finanziamento integrale delle funzioni fondamentali, che è effettuato “sulla base di indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza”. Si tratta di un eccessivo irrigidimento in una materia che richiede grande duttilità e capacità di sperimentazione. Nella funzione di produzione dei beni pubblici influiscono sulla combinazione dei fattori produttivi sia il grado d’inefficienza sia gli squilibri strutturali, che possono determinare divari nei costi e nei fabbisogni.

Il lavoro presentato recentemente da SOSE (“The Italian way towards Standard Expenditure Needs”, presentato il 6 giugno 2014) è molto utile se utilizzato per sviluppare una severa “accountability” diffusa, con la diffusione e il confronto delle esperienze.

Sarebbe di contro assolutamente controproducente se fosse utilizzato per calibrare risorse e gradi di libertà degli enti territoriali.
Condizionare meccanicamente all’effetto di un paramento statistico la vita delle comunità è semplicemente stupido. Lo disse Prodi, molti anni orsono, sulle regole del Patto di stabilità. E tanto più è vero oggi, alla fine (speriamo) di una recessione eccezionale. Si accentuerebbe il divario tra aree del paese o, più probabilmente, le disposizioni resteranno inattuate. Peraltro norme di analogo o maggiore rilievo sono state collocate in una fonte sub-costituzionale (come la legge rinforzata numero 243 del 2012). Quindi, anche in questo caso sarebbe utile tornare al testo originario.

Infine va considerata la questione più dirompente della riforma del 2001: il legame tra territorio e gettito fiscale. Il principio, molto opinabile, resta, pur se in una situazione diversa. Non è più una norma appesa, senza espliciti condizionamenti, com’era nel testo del 2001. E’ subordinata esplicitamente alla “armonia con la Costituzione e secondo quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, materia ritornata ad essere competenza esclusiva dello stato. Meglio di prima, anche se eliminare l’inciso, sarebbe la cosa migliore da fare.