Debito pubblico bomba atomica: paesi ricchi, debito / pil al 113%

di Salvatore Gatti
Pubblicato il 18 Febbraio 2013 - 08:12| Aggiornato il 9 Luglio 2022 OLTRE 6 MESI FA

Christine Lagarde del Fmi

“I tassi di cambio non devono avere come obiettivo la competitività e la ripresa dell’ economia”: dopo una notte di dure e lunghe trattative, il G20 (l’organizzazione dei venti paesi più forti e importanti del pianeta) ha partorito questa dichiarazione che, anche senza nominare il Giappone per non irritarlo troppo, è una dura bacchettata al paese nipponico (l’unico che sta cercando di usare il cambio per svalutare la propria moneta, lo yen, al fine di aiutare la propria economia) e alle sue ambizioni di violare le “regole del gioco” valutarie del pianeta che prevedono che siano solo i mercati a fissare i tassi di cambio.

Inoltre, i partecipanti alla riunione del G20 di Mosca, conclusasi da poco, hanno cercato in tutti i modi di buttare acqua sul fuoco. Mario Draghi, il presidente della Bce (la Banca centrale europea) ha detto di ritenere “esagerato parlare di guerra delle valute”.

Mentre più sincero è stato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha sibilato un “meno se ne parla meglio è: non abbiamo nulla da guadagnare”. Più sincero ancora il primo ministro inglese David Cameron che ha ammonito che “non si ricorre alla svalutazione in nome della crescita, di qualunque paese si tratti”.

E se non si deve usare la dizione “guerra valutaria” per la guerra valutaria iniziata dal Giappone come bisogna chiamarla? “Riaggiustamento dei valori di cambi a nuove evoluzioni macroeconomiche nazionali” oppure “cambiamenti di impostazione economica nazionale che fanno parte di nuovi precorsi di stabilizzazione delle diverse economie” suggerisce il nostro ministro dell’Economia, Vittorio Grilli. Chapeau!

Non ci resta che contare sul Fondo monetario internazionale, diretto dalla francese Christine Lagarde, che pur essendosi allineato alla vulgata ufficiale (“E’ esagerato parlare di guerra delle valute”) ha promesso che “il Fmi monitorerà attentamente se ci saranno sviluppi”.

Ma, nascosta dietro la pur rilevante questione dei rischi impliciti in una guerra valutaria se il Giappone non farà marcia indietro di fronte al monito contenuto nel comunicato finale del G20, a Mosca, nelle lunghe e sfibranti discussioni, si è giocata, malamente, un’altra determinante partita: il controllo del debito pubblico delle economie più avanzate. Il G20 di Toronto, nel 2010, aveva fissato un obiettivo: dimezzare entro il 2013 il deficit delle venti economie. Questo obiettivo non è stato raggiunto e il debito ha quindi continuato a espandersi in modo incontrollato, soprattutto in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone.

A Mosca si doveva raggiungere un accordo sui livelli di deficit di bilancio. Non è stato raggiunto e il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov lo ha riferito ufficialmente. Aggiungendo che “ci aspettiamo che entro aprile i paesi facciano progressi sul raggiungimento di un approccio equilibrato per fissare nuovi indicatori di bilancio, sia per i deficit sia per i debiti statali”. Un modo severo, “entro aprile”, di sollecitare i paesi più indebitati del mondo a far fronte al problema che sta sfuggendo di mano. Anno dopo anno, senza che si intraveda una soluzione politicamente accettabile.

“Siamo seduti su una bomba atomica”, diceva un finanziere americano di passaggio a Roma pochi giorni fa. Ma quanto è grave la situazione? Lo ha detto senza mezzi termini il direttore generale del Fondo monetario internazionale, la francese Christine Lagarde: “Il rapporto debito/prodotto interno lordo delle economie avanzate ha raggiunto il livello più alto dalla Seconda Guerra Mondiale: il 110 per cento nel 2012 e il 113 per cento sarà nel 2013 (un livello patologico all’italiana). E ha aggiunto: “Questo è il più grande ostacolo alla pur necessaria crescita”.

Ma se ne può uscire? E come? Secondo la signora Lagarde affrontare la riduzione del debito in una fase di crescita lenta sarà “estremamente difficile” e servirà trovare “un buon ritmo di riduzione del deficit; è un sentiero stretto, probabilmente un lungo cammino e per il quale non ci sono scorciatoie”.

E la soluzione è una sola, per il direttore del Fondo monetario, secondo quanto riferisce “la Repubblica”:

“Politica monetaria accomodante; un giusto ritmo di risanamento dei bilanci, tale da non compromettere la crescita ma con piani solidi e realistici per ridurre il debito nel medio termine; pulizia completa nel settore bancario; riforme strutturali per accelerare la produttività e la crescita”.

Un sogno o una soluzione politicamente percorribile?