Imu, lavoro, debito pubblico: la ricetta economica di Bersani e Vendola

di Salvatore Gatti
Pubblicato il 15 Gennaio 2013 - 06:36| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Pier Luigi Bersani è il leader italiano sulle cui spalle cade maggiormente la responsabilità di salvare l’Italia dalla crisi economica: lui e i suoi alleati, Nichi Vendola e gli altri di sinistra, hanno infatti il 36,5 per cento dei consensi nel sondaggio di lunedì 14 gennaio del Tg3 e il 37,4 nel sondaggio del Tg7 dello stesso giorno; sono il primo rassemblement italiano e Bersani è destinato a insediarsi per cinque anni a Palazzo Chigi, sede della presidenza del Consiglio. Solo un ostacolo si frappone a questo evento: mentre alla Camera la conquista della maggioranza è probabilmente certa, al Senato è incerta (anche aggiungendo i seggi della lista Monti). Tutto dipende da quanti senatori avrà il risorto Silvio Berlusconi.

Ma che storia politica ha Bersani? Vediamo. Nasce a Bettola, provincia di Piacenza, in Emilia, il 29 settembre del 1951: ha dunque sessantun’ anni. Tra il 1993 e il 1996 acquisisce un know-how amministrativo come presidente della Regione Emilia-Romagna. Poi affina la sua esperienza facendo inizialmente il ministro del Lavoro, poi dei Trasporti e infine dello Sviluppo Economico nel governo Prodi. Ora è pronto per il grande salto. Ma, se vincerà le elezioni politiche, come affronterà i nodi dell’economia dell’Italia, che non è affatto uscita dalla crisi. Esaminiamo le principali proposte del Pd, di cui è segretario dal 2009, una per una.

Contro la austerity. Una premessa:

“Le politiche economiche restrittive adottate o proposte negli ultimi mesi…sono orientate a un impossibile e deflattivo mercantilismo”.

Il debito pubblico. Arrivato a oltre 2 mila miliardi di euro, il 126 per cento del Pil, è uno sgradevole record nell’Eurozona (se si toglie la Grecia) e il principale macigno che blocca l’economia italiana. Come pensano di affrontarlo Bersani e i suoi economisti?

“Ci vuole un aumento medio annuo del prodotto interno lordo dello 0,5/0,6 per cento in più rispetto all’andamento tendenziale”, sostengono precisi, “con effetti positivi…sugli sforzi necessari alla riduzione del debito”. Il percorso verso il limite del 60 per cento del rapporto debito/pil è così assicurato, forse senza lacerazioni sociali.

Il fisco. Si può lavorare a una riduzione del peso dell’ Imu. Magari esentando subito dal suo pagamento chi deve dare fino a 500 euro, salvando così il 45 per cento dei contribuenti. Ma sia per coprire il buco finanziario (che oscilla, secondo i primi calcoli tra 2,5 e 2,8 miliardi di euro) sia per esigenze più generali -economiche ed etiche- è opportuno varare la tanto attesa imposta patrimoniale ordinaria sugli immobili di valore superiore agli 1,5/2 milioni di euro.

E il responsabile economico del Pd, il bocconiano Stefano Fassina, prevede, per gli immobili di valore superiore alla soglia esente, una aliquota progressiva da un minimo dello 0,50 per cento a un massimo dell’1. Per quanto riguarda i valori mobiliari, Bersani non intende tassarli.

“Piuttosto, io vorrei delle misure incisive per far emergere la ricchezza”.

(Ma intanto, sotto il governo Monti, nel 2012 sono fuggiti in Svizzera 115 miliardi di euro di ricchi italiani; e da lì fuggiranno verso lidi ancora più ospitali). E vuole anche la riforma del catasto. Ma Bersani ha anche un altro obiettivo fiscale. Abbassare le aliquote Irpef  per i redditi più bassi, alzarle per quelli più alti.

La politica industriale e la finanza pubblica. Per creare nuova ricchezza ci vuole un rilancio di tutto il sistema imprenditoriale.

“Ci vuole una politica industriale sostenibile”, scrive il Pd. E prosegue. “Guardando all’Italia e alla debolezza della crescita della sua economia, l’insistenza ossessiva sugli squilibri di finanza pubblica come causa delle difficoltà dell’euro è fuorviante. Nell’attuale situazione, data la carenza di domanda aggregata e l’enorme capacità produttiva inutilizzata, le speranze riposte nelle riforme strutturali, interventi pur utili quando ben disegnati, sono illusorie. Come pure va contrastata un’interpretazione riduttiva che il problema della competitività” si risolva concentrandosi soprattutto sull’idea che occorra agire “sul costo del lavoro, sia in senso diretto operando una deflazione salariale sia introducendo ulteriore flessibilità”.

Per una nuova politica industriale, per l’ occupazione. Che fare, allora?

“La linea di intervento”, sostiene il Pd, “deve basarsi sul miglioramento della produttività del lavoro tramite investimenti in capitale fisico e umano…Una nostra attenzione prioritaria, vista la vocazione manifatturiera del nostro paese, da salvaguardare e sviluppare, va alla riattivazione della politica industriale.E’ questa la strada principale da seguire per creare nuovi posti di lavoro e riassorbire la disoccupazione”.

In gran parte giovanile e femminile. Le donne e il lavoro.

“E’ necessario l’innalzamento del tasso di occupazione femminile fino a raggiungere in un decennio il 60 per cento: 3 milioni di donne occupate in più rispetto a oggi”.

La diseguaglianza.

“A nostro avviso”, sostengono gli economisti del Pd, “uno dei fattori che più incide sulle condizioni della domanda e che, quindi, frena la crescita è l’aumento della diseguaglianza nella distribuzione del reddito, in particolare del lavoro, e della ricchezza”.

Il Sud e il Nord.

“L’interruzione del processo di convergenza tra Sud e Nord del paese è intrecciata a una perdita ancora più significativa di competitività dell’intero sistema economico nazionale e delle sue aree più forti rispetto alla media dei paesi dell’Unione europea”:

L’economia sociale di mercato.

“Per salvaguardare il processo di unificazione e rigenerare l’economia sociale di mercato nell’Unione europea si rende necessaria una profonda revisione delle politiche economiche definite dai governi di centro-destra”,  propone il Pd allargando il proprio orizzonte all’Europa”.

Che fare?

“Per uscire dalle prospettive di stagnazione ed elevata disoccupazione strutturale, in particolare, di fronte all’Europa ed evitare rischi seri per la moneta unica e, inevitabilmente, per l’assetto istituzionale indichiamo quattro linee di policy, in larga misura condivise dai partiti progressisti europei”,

propone il Pd e le elenca:

“1. Un’agenzia europea per il debito per acquistare i titoli dei paesi aderenti ed emettere titoli di debito europei (gli eurobond) garantiti in modo collettivo.

2. Un piano europeo di investimenti per l’occupazione, l’ambiente e l’innovazione alimentato dalle risorse raccolte attraverso l’emissione di eurobond.

3. Uno standard retributivo europeo.

4. Una più equilibrata distribuzione del reddito da lavoro, sia primaria (conseguita sul mercato del lavoro) che secondaria (sostenuta da interventi di welfare e fiscali) capace di restituire potere d’acquisto e sicurezza alle famiglie”.

A quanto pare, Pier Luigi Bersani è riuscito a dire qualcosa di sinistra.