25 luglio 1943. Colpo di Stato di re Vittorio Emanuele III: testimone conferma

Pubblicato il 9 Agosto 2013 - 05:57| Aggiornato il 21 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA
25 luglio 1943. Colpo di Stato di re Vittorio Emanuele III: testimone conferma

Il Gran Consiglio del Fascismo votò la caduta di Mussolini, ma il mastermind fu il Re

Il tema del 25 luglio 1943 e il ruolo avuto dal Re, Vittorio Emanuele III, nel colpo di Stato che portò alla caduta di Benito Mussolini,  non ha esaurito la carica il 25 luglio del 2013 e nemmeno si esaurirà, nell’interesse non solo degli storici, tanto presto.

A alimentare nuove discussioni contribuirà certo un libro, relativamente snello quanto prezioso, 80 pagine, che diffonde il fino ad oggi inedito memoriale di Enzo Storoni, che fu avvocato e dopo la caduta del fascismo  sottosegretario e, per il suo rapporto professionale con il duca Pietro D’Acquarone, ministro della Real Casa, in grado di seguire quei mesi torridi da un osservatorio privilegiato.

Il libro di Enzo Storoni si intitola “La congiura del Quirinale”, è edito da Le Lettere di Firenze, costa € 10) e la prefazione è stata scritta da Francesco Perfetti.

Offre un interessante spaccato degli avvenimenti che precedettero la riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 24 luglio, la successiva uscita di scena, il 25, di Benito Mussolini e la fine del Regime. Il titolo richiama quello di un articolo che Storoni aveva pubblicato il 7 maggio 1949 su Il Mondo di Mario Pannunzio, ma il pezzo forte del volume sta nel Memoriale, inedito, scritto fra l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’ingresso a Roma degli alleati il 4 giugno 1944.

Per Storoni si può affermare “senza tema di smentite che artefice unica del colpo di Stato sia stata la monarchia”. Anche se non mancano, prova dell’onestà intellettuale dell’uomo, pur fedelissimo al Re, critiche a Vittorio Emanuele III per il pregresso suo atteggiamento nei confronti del fascismo e riserve sulla conduzione di quello che ormai è assodato sia stato un complotto della Corona nei confronti del Duce.

Storoni, avvocato, poi deputato liberale, per entrambi i profili “figlio d’arte” (il padre Emilio era stato un brillante civilista), futuro sottosegretario, aveva conosciuto per motivi professionali il duca Pietro d’Acquarone e ne era divenuto legale di fiducia, ciò che gli avrebbe consentito di entrare in confidenza con lui e di affrontare temi politici quando d’Acquarone divenne Ministro della Real Casa.

Ex ufficiale di cavalleria, brillante personalità legata alla Corte, d’Acquarone si apre a Storoni che gli manifesta le aspettative degli intellettuali antifascisti, in particolare di Alessandro Casati e Ivanoe Bonomi, già presidente del Consiglio, che il duca riceve e fa ricevere dal Re.

Non è facile. Nel clima di sospetto ingenerato dalla dittatura e dai controlli diffusi posti in essere dal regime, d’Acquarone prima stenta a comprendere come possano gli antifascisti dirsi certi di un sentire antiregime degli italiani che numerosissimi si erano accalcati sotto il balcone di Palazzo Venezia all’indomani della caduta di Tunisi.

Storoni convince d’Acquarone che quella folla non esprimeva vero consenso nei confronti del regime, che Mussolini ormai aveva perduto “la sensibilità dello stato d’animo della masse”. Aggiungendo che “forse era il suo decadimento fisico e spirituale che lo portava, nel momento più difficile della vita, a circondarsi di persone sempre meno degne che spingevano l’adulazione ai limiti del grottesco: sempre più isolato, sentiva vagamente l’ostilità montante dell’intero paese, l’opposizione crescente in seno allo stesso partito; per evitare di udire e di vedere, si faceva schermo di una cerchia ristretta di cortigiani”.

Sono gli argomenti di Dino Grandi nella requisitoria a sostegno del suo ordine dei giorno il 24 a Palazzo Venezia.

Per Storoni la monarchia costituisce l’“unico potere in grado di agire legalmente, fornito di indiscutibile ascendente sull’esercito, per ottenere l’abolizione del fascismo e la costituzione di un governo antifascista, che ripudiasse senz’altro la guerra di partito in cui l’Italia era stata trascinata”. D’altra parte al Re giungevano giornalmente migliaia di lettere che davano conto del diffuso malcontento nei confronti del regime.

Con il duca d’Acquarone, dunque, “l’unico intermediario tra la corona e il mondo esterno”, Storoni avvia un dialogo che sorregge con promemoria vari destinati al Re per formulare ipotesi sulla uscita di scena di Mussolini. Osserva Storoni come sarebbe stato difficile, senza il sostegno del Re, che “uomini, i quali per tanti anni avevano prostituito la loro coscienza in una serie di acquiescenze, connivenze, equilibrismi, malversazioni, adulazioni, una volta giunti all’apice della ricchezza e degli onori, abbiano ritrovato quel senso del dovere civico che non avevano mai dimostrato di possedere”.

Giudizio duro certamente riferibile alla maggioranza dei componenti del Gran Consiglio non a quanti avevano nel tempo messo in guardia il Duce sull’errore dell’alleanza con il tedesco. Come Grandi, De Marsico, De Stefani, Federzoni. Lo stesso Ciano aveva manifestato in più occasioni preoccupazioni per una alleanza storicamente innaturale, a fronte della ”tradizionale amicizia” verso l’Inghilterra.

Storoni qualifica “colpo di Stato” la sostituzione di Mussolini alla guida del governo, come altri giuristi hanno sostenuto. Ma non ne spiega le ragioni sul piano costituzionale un po’ contraddicendosi, avendo attribuito alla votazione del Gran Consiglio la caduta del regime, in quanto “costituzionalmente sanzionava l’allontanamento di Mussolini”. Il quale, in ogni caso, avrebbe presentato al Re le proprie dimissioni, nel corso dell’incontro con il Sovrano quel pomeriggio del 25 luglio a Villa Savoia.

Prezioso, dunque, il Memoriale di Storoni, un tassello fondamentale per la comprensione di un drammatico passaggio storico che avrebbe avuto un seguito ancora controverso l’ 8 settembre, alla comunicazione dell’armistizio, e successivamente con l’occupazione di gran parte dell’ Italia da parte delle forze armate tedesche decise, su ordine di Hitler, a farla pagare ai “traditori” italiani. Un intento che costerà caro anche al Terzo Reich per aver distolto da altri fronti truppe eccellenti che avrebbero potuto essere meglio impiegate altrove.

Il dopo 8 settembre, dunque, è ancora un tema da approfondire.