Abuso d’ufficio e danno erariale. Politici incapaci o corrotti vogliono mani libere

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 9 Agosto 2019 - 10:57 OLTRE 6 MESI FA
Giustizia. Abuso d’ufficio e danno erariale. Politici incapaci o corrotti vogliono mani libere

Foto d’archivio Ansa

ROMA – Interrotto l’esame del disegno di legge di riforma della Giustizia presentato dal Ministro Alfonso Bonafede il tema continua a tenere banco sui giornali, in particolare ad iniziativa del Vice presidente del Consiglio e leader della Lega, Matteo Salvini. “Tanti operatori, sia del pubblico che del privato, hanno chiesto il superamento di alcune fattispecie che stanno ingessando sia il pubblico che il privato”. Il riferimento ricorrente è all’abuso d’ufficio che, ha detto, abolirebbe, dopo la contestazione per quel reato al Presidente della Lombardia, Attilio Fontana. Ed oggi vorrebbe abolire anche il danno erariale, dopo che la Procura regionale della Corte dei conti per la Lombardia ha contestato al Viceministro Massimo Garavaglia di aver venduto sottoprezzo un immobile già dell’ASL.

Il tema è delicato e complesso. Indubbiamente l’abuso d’ufficio ha avuto una gestione giudiziaria che, a volte, ha destato perplessità, nonostante l’art. 323 c.p. lo preveda quando il pubblico funzionario o l’incaricato di pubblico servizio “in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a se è o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”. Forse sulla base della giurisprudenza la norma merita una ulteriore messa a punto, ma la sua abolizione cozzerebbe con i principi costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione stabiliti dall’art. 97 della Costituzione. 

Diverso è il caso del danno erariale, che costituisce, secondo la giurisprudenza contabile, una fattispecie esattamente individuata, consistente nella accertato addebito al bilancio di un ente pubblico di una spesa non dovuta o eccessiva rispetto al valore del bene o della prestazione acquisite. Ma è danno anche il mancato introito di risorse di bilancio per omessa riscossione di un credito o, come nel caso ipotizzato per Garavaglia, per la vendita di un bene ad un valore inferiore a quello di mercato. Tutte situazioni da accertare, ovviamente, ed imputabili al pubblico amministratore o funzionario ove la condotta sia configurabile come gravemente colposa o dolosa.

In caso di danno erariale la mia esperienza dice che la condanna consegue a comportamenti di soggetti incapaci o disonesti. Nel senso che un funzionario il quale rispetti le leggi ed operi come un buon padre di famiglia, regola della gestione pubblica come di quella privata, non ha nulla da temere. L’idea dei Sindaci che non firmano per paura della Procura della Corte dei conti conferma la scarsa preparazione professionale di molti amministratori e l’incapacità di servirsi della struttura amministrativa, terremotata da Matteo Renzi e Marianna Madia, con il ridimensionamento del ruolo dei Segretari comunali. Insomma i sindaci vogliono mani libere, scelgono i collaboratori preferendo gli amici di partito e sono convinti che la loro attività sia libera, certamente nelle scelte, non nelle decisioni tecniche, quelle da assumere sulla base di norme di legge e poi temono di incorrere nell’azione giudiziaria, penale e contabile.

La ribellione della quale si fa portavoce Matteo Salvini non ha dunque ragioni di essere condivisa. E l’uomo, intelligente e attento, lo capirà presto e inviterà chi lo interpella a studiare ed applicare bene le leggi.

Attenzione, la Giustizia, civile, penale, contabile è predisposta a garantire certezze al cittadino che, nel caso del processo contabile, sono poste a salvaguardia di un interesse pubblico concreto: la tutela della finanza e dei patrimoni degli enti pubblici, in sostanza delle tasche dei cittadini contribuenti. Il caso dei Consiglieri regionali che hanno speso per finalità personali le risorse assegnate ai Gruppi per attività politiche è emblematico di uno scarso senso del dovere e del rispetto delle risorse dello Stato e degli enti in violazione della regola che impone a coloro i quali sono affidate funzioni pubbliche “di adempierle con disciplina ed onore”, come si legge nell’art. 54, comma 2, Cost.

Vorrei, in chiusura, suggerire ai capi di partito di non ascoltare le doglianze dei loro amministratori quando si lamentano dei controlli e dei giudici, ma anzi di valutare quelle richieste come sintomo di scarso senso dello Stato e di inadeguata professionalità quando non di desiderio di far prevalere l’interesse privato sul pubblico. Con la conseguenza che il partito perde credibilità agli occhi degli elettori.

Quanto diverso il discorso di Quintino Sella che, da Ministro delle finanze, inaugurando la Corte dei conti del Regno d’Italia il 1° ottobre 1962, rivolgendosi ai magistrati diceva: “La fortuna pubblica è commessa alle vostre cure. Della ricchezza dello Stato… voi siete creati tutori. Né ciò basta:… È vostro compito il vegliare a che il Potere esecutivo non mai violi la legge; ed ove un fatto avvenga il quale al vostro alto discernimento paia ad essa contrario, è vostro debito il darne contezza al Parlamento”.

Altra classe politica, altri uomini.