Corte dei conti, magistrati alle urne: controller o giudici?

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 23 Settembre 2012 - 16:33 OLTRE 6 MESI FA

Si chiude una infuocata campagna elettorale per il rinnovo delle cariche dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti. Lunedì 24 e martedì 25 settembre, i giudici contabili devono scegliere il nuovo Presidente ed i componenti del Consiglio direttivo, una sorta di parlamentino che dovrà votare una Giunta esecutiva (il governo dell’Associazione), e cariche di minore importanza quanto alla politica associativa, i probiviri ed i revisori dei conti.

Candidati presidenti sono i Consiglieri Tommaso Miele ed Ermanno Granelli, due diverse personalità ed esperienze professionali, due impostazioni di fondo su molti punti inconciliabili, che corrispondono a diverse “filosofie”, a “scuole di pensiero”, si potrebbe dire, che hanno del controllo e della giurisdizione e dello stesso ruolo della Corte dei conti una visione diametralmente opposta. Sullo sfondo, però, perché nelle dichiarazioni programmatiche queste differenze sono sfumate e quasi impercettibili. Ma chi conosce persone e cose sa che la politica dell’Associazione sarebbe diversa, anche nei rapporti con il vertice dell’Istituzione e con il potere politico, a seconda di chi prevarrà.

Miele, vice presidente uscente, in servizio presso la Sezione giurisdizionale del Molise, autore di significative pronunce delle Sezioni Riunite in tema di responsabilità amministrativa e contabile, impegnato in dottrina con numerose pubblicazioni, è il candidato dello schieramento tradizionale e moderato, che fin qui ha eletto i presidenti dell’Associazione, da “Rinnovamento” a “Proposta costituzionale” a “Progetto per la Corte”, se la deve vedere con Granelli, magistrato del controllo, un passato in incarichi governativi prevalentemente nei governi di sinistra, già collaboratore del Ministro Bassanini, appoggiato dall’ala che, per semplificare. potremmo definire “progressista” della magistratura contabile, maggiormente rappresentata nel settore del controllo.

Come sempre, apparentemente i programmi dei vari gruppi che appoggiano le due candidature sono simili. Anche nel corso della campagna elettorale, quando si è parlato di “magistrati economisti”, cioè di giudici da reclutare con la sola laurea in economia, una contraddizione in termini, una proposta che c’è stata ed è stata portata anche all’attenzione della Presidenza del Consiglio, ma di paternità incerta e comunque ufficialmente disconosciuta, c’è stato un ampio e vivace confronto.

Tutti dicono di esservi contrari. Ma è evidente che, per alcuni, si tratta di affermazioni obbligate dall’imminenza del voto. In passato l’Associazione aveva combattuto la scelta di consentire l’accesso alla magistratura a coloro che avessero avuto la sola laurea in economia ed ottenne, su un emendamento Frattini alla norma voluta da Bassanini, una modifica che premiava, attraverso una riserva di posti nei concorsi, chi avesse avuto “altresì, la laurea in economia. Una scelta equilibrata, che favorisce una più ampia conoscenza delle discipline economiche, peraltro da sempre inserite nelle prove di concorso (scritte e orali), senza far venir meno la natura magistratuale della Corte, basata su una cultura giuridica capace di valutare, per quanto riguarda il controllo, gli effetti delle gestioni che nella legge e nelle direttive politiche ed amministrative trovano parametri di efficacia, efficienza e economicità.

Del resto la Corte controlla la “gestione finanziaria” degli enti

“ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria”,

come si legge nell’art. 100, comma 2, della Costituzione ed ha fissato il contenuto del principio di economicità di una gestione sulla base di determinazioni definite da fior di giuristi. D’altra parte, si fa notare, nessun giudice che si occupi di responsabilità d’impresa o di appalti, collaudi e riserve, recluta per ciò stesso economisti, aziendalisti, ingegneri.

È agevole vedere dietro le contrapposizioni che hanno caratterizzato la campagna elettorale giunta alla sua fine un rinnovato confronto tra quanti, ai tempi della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta dal Massimo D’Alema, si divisero tra favorevoli e contrari in ordine all’ipotesi di lasciare alla Corte il solo controllo di gestione, peraltro privato della verifica della legalità, con estromissione della funzione giurisdizionale assegnata al giudice amministrativo (senza pubblico ministero), una scelta che faceva intravedere dietro l’angolo un’Autorità dei conti pubblici, che è cosa diversa da una magistratura indipendente. Infatti le autorità esistenti non hanno brillato per indipendenza, in ragione anche dei criteri di scelta dei componenti.

Il confronto, dunque, è vivace. Previsioni sull’esito elettorale sarebbero azzardate. Il rischio è che nell’anno nel quale viene celebrato il 150° della istituzione della Corte dei conti (legge 14 agosto 1862, n. 800) l’esito elettorale non consenta il formarsi di una maggioranza in grado di esprimere una Giunta esecutiva forte in un momento delicato della Corte e della finanza pubblica, in pena recessione, quando, di giorno in giorno, la cronaca riferisce di macroscopici sprechi da parte di amministrazioni ed enti pubblici, con sullo sfondo una corruzione che la stessa Corte dei conti ha valutato in 60 miliardi di lire annue, un dato che, giornali alla mano, potrebbe rivelarsi approssimato per difetto.