La spesa pubblica, i tecnici e i politici: il “caso Cottarelli”

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 2 Agosto 2014 - 07:35| Aggiornato il 4 Agosto 2014 OLTRE 6 MESI FA
Carlo Cottarelli e Matteo Renzi

Carlo Cottarelli e Matteo Renzi (Ansa)

ROMA – Salvatore Sfrecola pubblica sul suo blog  unsognoitaliano.it l’articolo “La spesa pubblica tra tecnici e politici
Cosa insegna il ‘caso Cottarelli”‘ con cui spiega il rapporto tra politici e tecnici nella gestione della spesa pubblica:

Il mese di agosto è da sempre a rischio per la politica. La pausa estiva favorisce riflessioni e programmi. Poi sotto l’ombrellone si va a rileggere la relazione della Corte dei conti, approvata a fine giugno, sulla gestione del bilancio dello Stato dove politici ed alti burocrati scoprono, di giorno in giorno, che molte cose nei settori di loro competenza non vanno, che gli sprechi e le disfunzioni denunciate dalla magistratura contabile li interessano da vicino. Tutto secondo copione. Ma quest’anno all’inizio di agosto irrompe il “caso Cottarelli”, il Commissario alla riduzione della spesa che si è tolto qualche sassolino dalla scarpa osservando che si sta provvedendo a nuove spese da coprire con risparmi ancora da realizzare. Sicché, ha osservato, non sarà possibile ridurre le imposte.

Sul punto va fatta immediatamente chiarezza. Il “caso” Cottarelli richiama, ad un tempo, una regola elementare, secondo la quale non si può provvedere a nuove spese utilizzando risparmi non ancora attuali, e l’altra, altrettanto ovvia, che le scelte di politica economica spettano al governo e al Parlamento, per cui non deve essere il Commissario a decidere dove e quanto tagliare, dovendosi egli limitare esclusivamente ad indicare dove, a suo giudizio, è possibile ridurre la spesa. Questo dibattito, oltre a mettere in luce l’esistenza di un contrasto tra il Presidente del consiglio, Matteo Renzi, ed il Commissario, peraltro scelto dal suo non amato predecessore, Enrico Letta, ci dice che il problema della revisione della spesa è rilevante ed è soprattutto politico, come vedremo di qui a poco. Non c’è dubbio, altrimenti non si sarebbe ricorsi negli ultimi anni a ben tre commissari, Giarda, Bondi e adesso Cottarelli, che il problema della riduzione della spesa è essenziale e che è espressione di scelte politiche.

L’esperienza ci dice anche che la politica non si fida dello strumento fondamentale di controllo della spesa istituito all’interno del governo, cioè della Ragioneria Generale dello Stato, Dipartimento dipendente dal Ministero dell’economia e delle finanze, che tradizionalmente ha il compito, non solo di controllare la legittimità e regolarità contabile della spesa nel corso della gestione, ma di avere contezza delle dimensioni della stessa ai fini della predisposizione del bilancio di previsione annuale, valutandone la congruità e la compatibilità nell’ambito dei saldi complessivi di bilancio. Perché questa sfiducia nei confronti di una struttura di eccellenza direttamente dipendente dall’Esecutivo? La domanda è legittima e ci dice che per qualche ragione, che sarà bene indagare, la Ragioneria Generale è venuta meno, o la classe politica ritiene che sia venuta meno, al suo compito di monitorare la spesa e di segnalare gli sprechi. La risposta che riteniamo di dover dare, non dubitando della professionalità dei funzionari, è che la funzione di monitoraggio e di controllo è stata in qualche misura contenuta dal potere politico, nel senso che i governi non hanno voluto far emergere sprechi che, pur largamente diffusi, vengono occultati per motivi di carattere politico, tollerati per evitare contraccolpi con esponenti della maggioranza o dell’opposizione con i quali il governo è in qualche modo in sintonia. Ogni porzione della spesa pubblica, infatti, ha un ben individuabile sponsor. A questo punto è facile dire che sarebbe agevole lasciare libera la Ragioneria Generale dello Stato la quale, attraverso le sue articolazioni ministeriali e regionali, è in condizione di monitorare la spesa dell’amministrazione centrale e di quella periferica, ma anche di controllare l’andamento della spesa in tutti i settori dell’economia pubblica e, pertanto, di identificare quel che va tagliato. Questo non si fa ed allora si assiste al balletto, per la verità indecoroso, di ricorrere a personaggi del mondo privato, certamente dotati di elevata professionalità, per affidare loro un compito che dovrebbe svolgere la stessa Amministrazione.

Con la conseguenza che si verifica un ulteriore rallentamento dell’indagine, mentre il sistema di monitoraggio istituzionale darebbe, e avrebbe dato già da tempo, la possibilità di individuare le fonti dello spreco all’origine, in modo da intervenire immediatamente senza attendere che il fenomeno assuma dimensioni tali da rendere problematico un aggiustamento dei conti in tempi brevi. Anche perché non va mai dimenticato che la valutazione dell’utilità della spesa pubblica è attività di carattere eminentemente politico la quale però non può che avvalersi di rilevazioni condotte da organismi tecnici qualificati, quali, oltre alla già richiamata Ragioneria Generale dello Stato, la Banca d’Italia e, soprattutto nelle sue funzioni di controllo sulla gestione, la Corte dei conti.

La scelta di intervenire e come intervenire è politica, come più volte sottolineato, perché spetta alla responsabilità di governo e Parlamento individuare le dimensioni della spesa nei singoli settori, in relazione ai servizi che la pubblica amministrazione deve fornire in una equilibrata valutazione di costi e benefici ed al fatto che le amministrazioni e gli enti pubblici, globalmente considerati, attuano una presenza sul mercato interno che costituisce il più rilevante incentivo per lo sviluppo dell’industria. Va, pertanto, considerato che la spesa pubblica deve comunque mantenere un livello tale da assicurare un ragionevole apporto al prodotto interno lordo, senza il quale lo Stato si vedrebbe costretto ad intervenire in favore dei settori produttivi che, ove perdessero commesse pubbliche, dovrebbero essere altrimenti aiutati.

Tutto questo per dire che l’economia di un paese è costituita da attività diverse, dirette alla produzione di beni e servizi che vengono ceduti a privati e ad enti pubblici in una condizione che va mantenuta in uno stato virtuoso perché l’economia si sviluppi e cittadini ed imprese possano godere di servizi in una misura adeguata agli oneri fiscali che sono chiamati a sostenere. La vicenda Cottarelli, dunque, deve essere utilizzata per quanti osservano le vicende dell’economia e della finanza, per chiarire definitivamente il ruolo dell’amministrazione, nella sua autonomia tecnica, e della politica nelle rispettive responsabilità, di individuazione dei fenomeni e di scelta delle misure da adottare in relazione alle condizioni della spesa pubblica. Riusciranno i nostri eroi ad assumere un atteggiamento virtuoso, del resto scandito nettamente dalle leggi che individuano ruoli e competenze o continueranno a proporre al dibattito obiettivi-schermo e false rappresentazioni della realtà? Non è più il tempo, lo chiedono gli italiani ai quali va data una risposta prima ancora che ce lo chieda l’Europa o il Fondo Monetario Internazionale.

La politica deve fare il suo mestiere per rispondere alle esigenze che provengono dalla società attraverso scelte che siano effettivamente capaci di assicurare crescita e sviluppo, che significa benessere e pace sociale in una prospettiva ragionevole ed in tempi brevi, utilizzando tutte le risorse disponibili, a cominciare da quella preziosa specificità data da un patrimonio storico artistico unico al mondo che non è solo nei musei e nelle aree archeologiche ma anche nelle bellezze naturali che fanno di questa nostra Italia veramente un dono della Provvidenza. Eppure non riusciamo a far decollare il turismo, come sarebbe possibile, in mancanza di una strategia nazionale, tra l’altro ostacolata dalla riforma del Titolo Quinto della Costituzione che improvvidamente ha affidato alla competenza delle regioni la materia turistica. C’è molto da fare, ma non c’è tempo da perdere”.