Prescrizione: processi troppo lunghi aiuto ai corrotti

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 3 Marzo 2014 - 07:53 OLTRE 6 MESI FA
 Prescrizione: processi troppo lunghi aiuto ai corrotti

Filippo Penati, ultimo caso di prescrizione che ha indignato i cittadini

Salvatoe Sfrecola ha scritto questo articolo per Un sogno italiano

Per effetto della prescrizione, ul finire degli anni ’80 erano poche migliaia, oggi sono oltre 130 mila i reati prescritti ogni anno. I più vari, ovviamente. Tra i quali spiccano corruzione e concussione, che più indignano il cittadino, per l’effetto perverso che determinano sui costi delle pubbliche amministrazioni e sulle regole della concorrenza tra le imprese.

Giusto un mese fa una relazione dell’Unione Europea sulla corruzione ha riservato pagine severe all’Italia, pur riconoscendo che la strategia di contrasto, che negli ultimi venti anni ha fatto leva in buona parte sull’aspetto repressivo, è stata riequilibrata dalla legge il 6 novembre 2012, n. 190, “rafforzandone l’aspetto preventivo e potenziando la responsabilità (accountability) dei pubblici ufficiali”. La nuova legge lascia tuttavia irrisolta una serie di problemi: innanzitutto perché “non modifica la disciplina della prescrizione”.

Centrale, infatti, è il tema della prescrizione che l’Europa raccomanda sia rivista profondamente. Lo si leggeva già nei rapporti del GRECO (Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione) e dell’OCSE, come una delle maggiori carenze del sistema che “contribuiscono alla percezione di un clima di quasi impunità e ostacolano l’efficacia dell’azione penale e l’accertamento nel merito dei casi di corruzione”.

I tentativi di definire un quadro giuridico in grado di garantire l’efficacia dei processi e la loro conclusione nei casi complessi sono stati più volte ostacolati. In diverse occasioni il Parlamento ha approvato o ha tentato di far passare leggi ad personam a favore di politici imputati in procedimenti penali, anche per reati di corruzione. L’U.E fa l’esempio del progetto di legge sulla “prescrizione breve”, con elevato rischio di vedere estinguere i procedimenti a carico di indagati incensurati, o del “lodo Alfano” che imponeva, per le quattro più alte cariche dello Stato, la sospensione dei processi relativi a fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione e dei processi penali in corso. Legge poi dichiarata incostituzionale.

Insomma, il regime della prescrizione va cambiato “se si vuole tentare un approccio organico al tema della giustizia e dell’efficacia della macchina giudiziaria, come ha scritto Michele Vietti, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, in un suo fortunato libro, Facciamo giustizia – Istruzioni per l’uso del sistema giudiziario, che dedica pagine importanti al tema, con riferimenti tratti dall’esperienza di altri ordinamenti, solitamente presi a confronto.

Per cui se la funzione essenziale della prescrizione – ricorda Vietti – “è da sempre quella di “misurare” l’effettivo interesse pubblico alla persecuzione dei reati sulla base del fattore tempo” non ha senso che continui a correre dopo l’avvio del procedimento penale, quando è evidente la volontà dello Stato di perseguire l’illecito penale.

Come, del resto accade in altri ordinamenti, negli Stati Uniti, dove il periodo necessario perché il reato si estingua deve essere decorso interamente prima dell’inizio del processo, al momento del deposito dell’atto di accusa. Iniziato il processo, l’imputato non può più contare sulla prescrizione, “quindi non gli conviene tirare per le lunghe”, osserva Vietti, che constata come “non a caso il processo penale in quel paese è assai rapido”. In Francia, Spagna e Belgio l’esercizio dell’azione penale ha un effetto sospensivo, mentre in Germania la prescrizione continua a correre anche a processo iniziato, ma i tempi raddoppiano automaticamente.

Il regime italiano, dunque, ha l’effetto di consentire l’allungamento dei processi con ogni mezzo previsto dalle procedure, al fine di pervenire alla prescrizione del reato. Ciò che dimostra inequivocabilmente il timore della decisione nel merito.

Se ne deve dedurre che se l’effettività del contrasto alla corruzione misura la reale volontà della classe politica di perseguire un reato che da sempre indigna il cittadino onesto il quale percepisce che gli accordi illeciti tra amministratori, funzionari e imprenditori accrescono gli sprechi e, con essi, l’inefficienza dei servizi pubblici appaltati e la corretta realizzazione delle opere pubbliche, nel nostro Paese la lotta alla corruzione attende tempi migliori.

Il contrasto alla corruzione, tuttavia, non è solo un problema di repressione penale. La relazione dell’U.E. mette in risalto che l’Italia ha fatto un passo avanti attuando misure amministrative, di vigilanza e controllo, sull’attività delle amministrazioni pubbliche. Con qualche passo falso, tuttavia, come la mancata attribuzione di adeguati poteri alla Corte dei conti, controllore e giudice delle fattispecie di danno erariale, cioè dei maggiori costi di un sistema corrotto.

Così, tanto per fare un esempio, il decreto legge n. 174/2012, che ha previsto il controllo dei rendiconti dei gruppi consiliari regionali, finiti sui giornali di tutta Italia per le spese “non istituzionali” addebitate, è stato impugnato dai diretti interessati ed è sub iudice dinanzi alla Corte costituzionale. Intanto il governo continua a non consentire il reclutamento di magistrati contabili che dovrebbero essere poco più di 600, mentre in servizio superano appena i 400, per controllare 16 ministeri, 20 regioni, più di 100 province, ed oltre 8000 comuni e giudicare su eventuali illeciti di amministratori e dipendenti.

E la gente che si chiede perché il Comune di Roma ha potuto indebitarsi come abbiamo letto in questi giorni. Forse non sarebbe accaduto se qualche segnale fosse giunto in Campidoglio. In modo tempestivo ed autorevole.

Il fatto è che la classe politica è da sempre ostile al controllo di legalità e se, di tanto in tanto, sull’onda della indignazione popolare, si vede costretta a dettare norme più rigide di gestione e ad attribuire nuovi controlli alla Corte dei conti, al giro di boa di qualche mese sindaci e presidenti di regioni ricorrono alla Corte costituzionale o suggeriscono modifiche alle Camere in modo da annacquare i controlli, mentre si leggono sui giornali dichiarazioni intimidatorie di politici spregiudicati che censurano le iniziative dei magistrati contabili. Per non dire delle limitazioni che dal 2009 hanno frenato l’azione delle Procure regionali.

I politici contano da sempre sulla memoria dei cittadini, che ritengono labile. Sbagliando, perché le persone perbene, che sono sempre la maggioranza in questo Paese, memorizzano gli scempi ai quali assistono, sicché spesso si verificano sorprese nei risultati elettorali, com’è accaduto e come potrà ancora accadere se non si volterà pagina rapidamente, passando dalle parole ai fatti. Per dare a chi paga le tasse la soddisfazione di ritrovare nell’azione delle amministrazioni pubbliche quell’efficienza che sola può giustificarle.