Riforma PA: Matteo Renzi con poche regole cambiate può farci sperare
Pubblicato il 31 Marzo 2014 - 08:07 OLTRE 6 MESI FA
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha posto tra i primi obiettivi del suo governo la riforma della Pubblica Amministrazione. Il Ministro Marianna Madia, con delega alla semplificazione e all’amministrazione, ha fatto sapere di avere messo in cantiere misure concrete, a cominciare dal ringiovanimento dei ranghi, attraverso un esodo o un prepensionamento, come hanno scritto i giornali un po’ frettolosamente.
L’obiettivo è certamente funzionale a rendere efficiente la macchina del governo. Anche con tagli funzionali, come suggerito dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli nella versione riveduta e corretta dal Presidente Giorgio Napolitano che ha richiamato l’esigenza di tagli selettivi e funzionali a mantenere in efficienza gli apparati pubblici.
Che Renzi punti a mettere mano in tempi brevi alla riforma degli apparati pubblici è segno di speciale attenzione per l’esigenza di buon funzionamento della macchina pubblica attesa dai cittadini e dalle imprese.
Lo abbiamo scritto più volte, la P.A. è lo strumento necessario per governare, per perseguire con efficacia, efficienza ed economicità, nel rispetto della legge, le politiche pubbliche individuate nel programma del governo, approvato dal Parlamento. Ne consegue che la prima preoccupazione dei governi è da sempre quella di disporre di un apparato idoneo alla sua politica, quanto a ordinamento degli uffici, professionalità degli addetti e adeguatezza della normativa, intesa come somma di disposizioni che individuano attribuzioni, competenze e procedimenti.
Sembra tutto molto elementare. Un ministro responsabile di una pubblica amministrazione, come un imprenditore, si deve preoccupare in primo luogo di come realizzare gli obiettivi di interesse pubblico individuati dalle attribuzioni della struttura a lui affidata, tenendo conto delle leggi che ne disciplinano l’attività e degli uomini che operano alle sue dipendenze.
Per questo le amministrazioni pubbliche hanno una struttura delineata dalle leggi che ne disciplinano l’organizzazione e il funzionamento, individuando anche le professionalità occorrenti in relazione alle procedure che gli addetti sono chiamati ad applicare.
Conseguentemente l’Amministrazione pubblica dispone di tanti giuristi, economisti, ingegneri, medici, fisici, geologi, ragionieri, geometri e via via enumerando secondo una valutazione che tiene conto dei servizi da rendere e dei modi con i quali questi vengono resi. Nel tempo, tuttavia, cambiano le professionalità richieste. Una osservazione banale, ad esempio, ci dice che negli ultimi anni è stata profondamente ridimensionata la categoria dei dattilografi in quanto tutti i pubblici funzionari, a cominciare dai vertici, usano il computer per scrivere appunti, lettere, provvedimenti.
Queste prime considerazioni ci conducono ad una riflessione essenziale. Le professionalità degli addetti e la consistenza organica degli uffici sono stabilite in origine sulla base di parametri certi, le attribuzioni e le procedure. È sulla base di questi parametri che le amministrazioni stabiliscono di quanti ingegneri, giuristi, economisti e via dicendo hanno bisogno. Esigenze che variano nel tempo in relazione alla modulazione dei procedimenti e degli adempimenti necessari per rendere i servizi previsti dalle leggi. Sicché la consistenza dei ruoli varia nel tempo. Ugualmente variano le professionalità richieste.
Se ne deduce che una riforma della pubblica amministrazione che intenda offrire ai cittadini ed alle imprese servizi efficienti in tempi brevi ed a costi contenuti deve necessariamente procedere da una revisione delle attribuzioni e delle procedure in modo da individuare il numero degli addetti necessari per una specifica branca amministrativa o tecnica e la loro collocazione sul territorio. In questo senso in un paese efficiente la riforma della P.A. prevede un adeguamento continuo.
Aggiungiamo che la riforma possibile deve necessariamente tenere conto della necessità di acquisire le migliori professionalità disponibili nel mercato del lavoro, attraverso una selezione severa che metta a disposizione dello Stato funzionari ed impiegati di valore.
È un impegno essenziale che ha caratterizzato le amministrazioni pubbliche degli stati europei a più alto tasso di efficienza. Francia, Germania, Spagna, Regno Unito dispongono da sempre di corpi di funzionari di elevata professionalità. Il servizio allo Stato è ritenuto in questi paesi attività di grandissimo prestigio “al servizio esclusivo della Nazione”, come si legge nell’art. 98 della nostra Costituzione. È nella tradizione di molte famiglie, anche in Italia, servire nelle amministrazioni in quel ruolo che Piercamillo Davigo ha chiamato “La giubba del Re”, facendone il titolo di un fortunato volume sulla lotta alla corruzione.
Tuttavia non va taciuto che il modesto livello di efficienza dell’Amministrazione italiana svilisce il ruolo del pubblico dipendente, lo dipinge sovente come un “fannullone”, in tal modo allontanando i migliori delle nuove generazioni. Complice anche il trattamento economico non sempre adeguato a remunerare elevate professionalità. Basti pensare agli insegnanti.
Riusciranno Renzi ed il Ministro Madia a restituire prestigio ed efficienza alla funzione pubblica? Non giovano certo le prime indiscrezioni sulle scelte allo studio, come l’esodo indiscriminato e forzato, che priverebbe i nostri uffici di importanti esperienze formatesi nel tempo, attraverso gli insegnamenti trasferiti dai più anziani ai più giovani in un continuum virtuoso che caratterizza tutti i luoghi di lavoro.
Contemporaneamente la riforma richiede la revisione dell’organizzazione con individuazione delle funzioni dirigenziali e di quelle dei quadri, categorie professionali che negli ultimi anni sono state in vario modo mortificate. I dirigenti in molte amministrazioni sono troppi, preposti a strutture modeste con attribuzioni di scarso rilievo. I quadri, i funzionari non sono più il corpo dal quale si reclutano i dirigenti dopo una esperienza sul campo in ruoli rilevanti.
La politica del divide et impera ha moltiplicato gli uffici dirigenziali conseguentemente di ridotte competenze. Gli addetti hanno accettato di perdere competenze a fronte di una qualifica dirigenziale che soddisfa la loro vanità a nulla rilevando che quel ruolo sia poco più di un biglietto da visita.
Questa politica ha interessato anche i vertici militari. Abbondano i generali di corpo d’armata o di divisione laddove un tempo quelle funzioni erano attribuite ad ufficiali di rango inferiore.
In conclusione la P.A. va ripensata, quanto ad attribuzioni ed a procedure arruolando i migliori professionisti dei vari settori. Solo così è possibile restituire efficacia all’attività delle pubbliche amministrazioni e farne uno strumento efficace di governo per realizzare le politiche pubbliche alle quali i governi affidano la realizzazione dell’indirizzo politico approvato in sede elettorale.
Riuscirà Renzi in questa opera fondamentale per assicurare sviluppo economico e sociale? Le prime dichiarazioni dicono di una scarsa conoscenza del fenomeno P.A. con conseguente difficoltà di imboccare la strada della riforma che i cittadini attendono da tempo. Che richiede certamente tempo. Ma chi se ne intende sa che si può procedere per tappe ravvicinate modificando rapidamente alcune regole che costituiscono un impaccio inutile per cittadini ed imprese, così dando immediatamente il senso dell’innovazione.
Riuscirà Renzi? Ce lo auguriamo fortemente.