Renzi rottamatore: non solo anagrafe ma idee e fantasia

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 22 Ottobre 2012 - 08:11 OLTRE 6 MESI FA

Rottamazione è una parola che fa parte da tempo dell’italiano, all’inizio in veste di automobilista: era infatti usata all’epoca in cui le case automobilistiche incentivavano, con il contributo dello Stato, l’acquisto di macchine nuove ritirando, con sconti d’eccezione, quelle vecchie, “da rottamare”. Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, l’ha traslata nel gergo politico, anzi ne ha fatto il motto della sua politica e della campagna da lui condotta per rinnovare il Partito democratico.

Sarebbe stato forse più consono e meno brutale “rinnovamento”, ma la parola è abusata e, come insegna l’esperienza, non dà grandi risultati.

Rottamare dà più l’idea dello stacco, del cambiamento radicale, di quell’altra orribile parola molto in voga nel gergo aziendale, discontinuità. Rottamare vuol dire non solo rinnovare, ma anche “mandare in pensione” chi ha superato una certa età, anagrafica oltre che di impegno politico.

Così Renzi brutalmente invoca la rottamazione dei dirigenti che, a suo dire, hanno fatto il loro tempo. Sono da troppo sulla scena, con l’effetto, naturale quando passa un certo tempo, di non avere più quella spinta propositiva che probabilmente avevano all’ingresso in politica.

Non è nuova, nella storia la spinta della base e dei giovani per rinnovare la classe dirigente dei partiti. Anzi si direbbe che è naturale, fisiologico che le nuove idee che bussano alla porta viaggino sulle gambe di chi vuole sostituirsi a coloro che detengono il potere. Vale per i partiti come per le amministrazioni e gli enti e le imprese private.

L’età del pensionamento è alle viste per tutti, per alcuni scatta inesorabilmente in ragione dell’età, per altri è provocato da chi cerca di farsi largo.

Rottamare, quindi? Tutti e tutto? Qui sorgono i problemi. Perché la società è formata di persone delle varie età, dai giovanissimi dei quali naturalmente si occupano i genitori, e via via lungo un arco di vita che vede interessi delle varie generazioni. L’ideale sarebbe, dunque, che tra le varie età ci fosse una collaborazione virtuosa perché l’esperienza degli uni fosse assunta dai giovani come momento di riflessione e di confronto, perché le prospettive del futuro non fossero meramente velleitarie ma l’effetto di una valutazione critica del bene e del male che hanno fatto le generazioni precedenti, perché le prospettive del dopo siano concretamente realizzabili.

In questo senso va detto che la distinzione non è tanto da riferire all’età quanto alla bontà delle idee, alla loro praticabilità ed agli effetti che sono capaci di realizzare nella società. L’esperienza, infatti, insegna che ci sono “vecchi giovani” e “giovani vecchi”, persone di esperienza che non si limitano ad amministrare l’esistente ma guardano al futuro, stimolati da studi e realizzazioni sperimentate in altri contesti, e giovani anagraficamente che non hanno un minimo di fantasia e di voglia di fare.

È stato sempre così, tanto è vero che le “rivoluzioni”, cioè i cambiamenti, da quelli brutali a quelli “morbidi”, sono stati sempre realizzati su iniziativa di minoranze, che non debbono essere necessariamente composte da giovani o da persone in cerca di un ruolo.

Conclusione: esortiamo il“rottamatore” Renzi a includere nella sua lista dei “rottamandi” non sono solo coloro i quali hanno superato una certa età, anagrafica e parlamentare, ma tutti quelli che hanno la fantasia stanca. Penso che questo sia proprio il senso delle parole di Renzi quando ha detto che dalla rottamazione di deve passare alle idee, ai programmi.

E aggiungo: idee e programmi devono tener conto di quanto e come sia articolata la società ai vari livelli sociali e territoriali, perché la spinta al cambiamento e alla innovazione sposti l’asse della politica su una linea funzionale al progresso sociale ed economico, aggiornando continuamente gli obiettivi e adeguando i mezzi per raggiungerliin funzione delle esigenze di tempo e di modo per realizzare le politiche pubbliche.