Scuola. “Senza cellulare non saprei come passare il tempo”

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 29 Maggio 2015 - 10:30 OLTRE 6 MESI FA
Scuola. "Senza cellulare non saprei come passare il tempo"

Scuola. “Senza cellulare non saprei come passare il tempo”

ROMA – Salvatore Sfrecola ha pubblicato questo articolo anche sul suo blog, Un Sogno italiano, col titolo “Scuola e cultura: le colpe della Destra e della Sinistra”.

Desidero ricordare ancora una volta la frase, ascoltata a Roma, in viale delle Milizie, nei pressi di uno dei più noti licei romani (un tempo si diceva “prestigiosi”). L’aveva pronunciata una ragazza rivolgendosi agli amici con i quali si apprestava a varcare il cancello d’ingresso: “Se non avessi il cellulare non saprei come passare il tempo a scuola”.

Si tratta di una persona evidentemente stupida, senza interessi e senza valori. Tuttavia non ce la possiamo cavare così. Diceva mio nonno, insegnante di italiano e latino in un prestigioso liceo (questo sì) che quando un ragazzo va male a scuola nella maggior parte dei casi la responsabilità è del docente. Nel senso che non ha saputo coinvolgere lo studente, interessarlo e stimolarlo all’apprendimento che, in un liceo, che offre una vasta gamma di discipline letterarie e scientifiche, da affrontare anche in forma critica nutrendosi di riflessioni e di dubbi, non è poi così difficile.

L’aneddoto ci dice qual è lo stato della nostra scuola. Senza generalizzare, sempre sbagliato, non c’è dubbio che per ognuno di noi che ha seguito i figli nel corso degli studi si sia posto il confronto con i propri docenti dai quali anni prima aveva imparato non solo a leggere di greco e di latino ma, per ricordare il Poeta aveva appreso anche di altre virtù, in primo luogo il senso di appartenenza ad una comunità, le radici culturali dell’Italia e dell’Europa e le singole materie, dalla fisica alla biologia, dalla chimica alla storia dell’arte. Quella nostra era certamente una “buona scuola”. Forse ne è consapevole anche il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che questo slogan ha ripreso. Perché la scuola deve tornare ad essere “buona”, ma – direi – anche “bella”, nel senso di “funzionale” perché gli insegnamenti siano impartiti in edifici costruiti con criteri moderni e funzionali, idonei ad accogliere gli studenti ed a fornire loro gli strumenti necessari, una biblioteca ricca e aggiornata, laboratori, palestre.

Lo dico a ragion veduta perché a questi requisiti rispondeva il mio ginnasio-liceo, il “Torquato Tasso”, una grande costruzione umbertina della Roma neo capitale d’Italia, grandi aule luminose per le imponenti vetrate, una ricca biblioteca, un’aula magna dove si potevano tenere conferenze e rappresentare spettacoli teatrali, due aule ad anfiteatro, rispettivamente per le scienze naturali e la fisica, con una dotazione assai rilevante di apparecchiature per fare esperimenti. In particolare l’aula di scienze naturali aveva una vastissima collezione di minerali di ogni genere, di animali, dai più piccoli, conservati in barattoli di formalina, ai grandi imbalsamati e scheletri anche umani, che consentivano al docente, assistito da un tecnico di laboratorio, di presentare, ad illustrazione delle lezioni, reperti di straordinario interesse che sono rimasti nella mente e nella cultura degli studenti di quel liceo romano. Lo continuavano a frequentare gli ex studenti iscritti a medicina i quali si preparavano a conoscere tibie e crani in abbondanza conservati nelle grandi vetrine.

Questo riferimento sta a dimostrare, a confronto delle scuole successivamente costruite, un notevole degrado dell’edilizia scolastica, che non solo non presenta quelle importanti aule didattiche ma, spesso, neppure palestre dove un tempo i docenti di educazione fisica univano agli esercizi alla pertica o alla spalliera o al classico salto della cavallina anche nozioni sul corpo umano, dalla fisiologia della respirazione alle regole di postura per i giovani impegnati in lunghe ore a tavolino.

Il degrado dell’edilizia scolastica, spesso le scuole sono ubicate in edifici in origine destinati a civile abitazione, con aule anguste e poco luminose è l’immagine di una scuola che non è più in condizione di assicurare agli studenti quella preparazione culturale e professionale che ne dovrebbe fare cittadini responsabili e professionisti pronti ad affrontare il mondo del lavoro.

Non si studia più, da tempo, l’educazione civica, necessaria per la conoscenza dei diritti e dei doveri. Non si studia più la storia in modo compiuto né la geografia, ad essa intimamente connessa dacché è evidente che i luoghi degli insediamenti umani fin dai tempi più antichi ne hanno condizionato la vita e la politica. Se i Fenici avessero avuto più terreno da coltivare e sul quale far pascolare gli armenti forse non si sarebbero dedicati alla navigazione. Lo hanno fatto anche perché potevano costruire navi solide usando gli alberi delle grandi foreste. Ed hanno attivato importanti scambi commerciali su linee di navigazione che ancora oggi segnano molti rapporti internazionali. È storia ma è anche politica economica.

Lasciando il latino, che non si studia e non si approfondisce come strumento di raccordo con le radici della nostra cultura, anche l’italiano è trascurato. Lo si deduce dai servizi televisivi e da molti articoli di giornale, lo si vede nelle relazioni parlamentari, nei testi di legge e financo nelle sentenze. Eppure una buona conoscenza dell’italiano assicura una marcia in più in qualunque professione, per l’ingegnere che scrive una relazione tecnica, per il medico che ricostruisce l’anamnesi del paziente, oltre, ovviamente, per un avvocato o un giudice. Dico spesso ai miei colleghi che anche un testo di diritto può essere scritto in un buon italiano, evitando ripetizioni e assonanze e dando all’esposizione il respiro di una lettura piacevole che induce il destinatario a prestare la massima attenzione al contenuto del documento.

Insomma, tutto sta a dimostrare il grave disinteresse della classe dirigente di questo Paese per la formazione dei giovani, incurante che nella scuola, a cominciare dalle elementari, è la ricchezza della Comunità dal punto di vista etico e delle capacità lavorative in tutti i settori di interesse per lo sviluppo economico e sociale.

La trascuratezza dei locali e delle loro attrezzature ha riguardato progressivamente anche il corpo docente. Non è stato sempre così. Un tempo i professori godevano di stima per la loro riconosciuta preparazione professionale. A questo proposito ricordo spesso il mio professore di storia e filosofia il quale, prima della guerra, essendo laureato in giurisprudenza, aveva vinto la cattedra e, nello stesso anno, il concorso in magistratura, ma aveva optato per l’insegnamento perché, in quegli anni, i professori di liceo avevano una retribuzione superiore a quella dei magistrati. Raccontava spesso di questa scelta inconsapevolmente sbagliata. Questo dimostra, ma non vorrei passare per un laudator temporis acti, con il rischio, che accetto, di apparire un nostalgico dell’Italia liberale, che un tempo la classe politica aveva maggiore considerazione della funzione docente. Ripeto, a partire dalla scuola elementare, dove certamente il “maestro” ha la responsabilità più grande, perché è li che si stimola l’alunno alla curiosità e allo studio, alla ricerca del metodo di apprendimento che lo segnerà anche successivamente, nella scuola media, primaria e secondaria, ed anche nell’università.

Al contrario, il ruolo degli insegnanti è stato svilito. Ciò che è avvenuto agli occhi di tutti attraverso l’attribuzione loro di un trattamento economico assolutamente inadeguato, non solo alla vita ma anche alla possibilità, che deve essere riconosciuta a una persona di cultura che la deve trasmettere ai propri studenti, di aggiornarsi attraverso l’acquisto di libri, l’abbonamento a riviste, la partecipazione a corsi di aggiornamento e di formazione, anche all’estero, in particolare per gli insegnanti di lingue. È abbastanza evidente che con gli stipendi attuali, inferiori a quelli degli altri paesi europei, un docente di qualunque ordine e grado non è in condizione di mantenere una famiglia e di studiare. Per cui i migliori tirano avanti con le lezioni private.

La trascuratezza della classe dirigente è tanto della Sinistra quanto della Destra. La prima ha prestato attenzione ai docenti soltanto a fini di consenso elettorale e ideologico, la seconda, ritenendo perduto quel segmento della società italiana, non ha saputo formulare una proposta riformista che, nel solco della tradizione, restituisse efficienza alla scuola e alla sua funzione di preparazione delle nuove classi dirigenti. Se andiamo a analizzare le scelte private delle persone, di destra e di sinistra, questa trascuratezza per la scuola pubblica è fotografata dall’interesse per le scuole private alle quali vengono iscritti i figli della classe dirigente che poi all’università frequentavano istituzioni straniere per completare il loro ciclo di studi e la preparazione professionale. In questo clima “una classe dirigente così “ontologicamente” ignorante sulla centralità della scuola può soltanto mandare un paese allo sfascio” ha scritto Massimo Cacciari in una lucida analisi condotta su L’Espresso in edicola.

In questi anni la scuola è stata ritenuta un settore dove si poteva facilmente tagliare fondi e rinviare riconoscimenti. Così il merito, che obiettivamente è sempre difficile da enucleare e premiare, è stato sistematicamente trascurato.

Non è possibile procedere oltre, né la riforma, renzianamente definita della “buona scuola”, sembra andare nella direzione giusta ed è dubbio forte che l’assunzione di un numero rilevante di precari, tra quelli che hanno insegnato poco e si sono aggiornati meno, adattandosi ad altre attività per sopravvivere, possa assicurare un grado adeguato di istruzione nel tempo che viviamo nel quale troppo spesso si confonde l’apertura alla tecnologia che caratterizza tutte le professioni con quella solida cultura, basata anche sugli insegnamenti tradizionali, che è comunque alla base di una dotazione personale capace di competere nel mercato del lavoro.

I nostri diplomati e laureati, infatti, perdono sempre più competitività anche in Europa e quanti ancora riescono a prevalere sono coloro che hanno, per impegno personale e familiare, completato gli studi al di là dell’insegnamento curriculare assicurato dai docenti delle scuole pubbliche. Sono coloro che ci fanno fare bella figura all’estero, non solo nelle discipline scientifiche, facilmente comparabili con quelle insegnate nei paesi europei e nelle Americhe, ma anche in quelle umanistiche, il che dimostra che una base buona nella nostra scuola c’è stata anche se si va esaurendo.

Andiamo verso una scuola che i posteri difficilmente qualificheranno “buona”, perché non si vede all’orizzonte una selezione adeguata della classe docente e il riconoscimento del merito degli insegnanti e degli studenti, perché la scuola non può essere un “diplomificio” ma deve attribuire titoli di studio che, di per sé, attestino che nella professione riferita al diploma la persona ha una adeguata preparazione. Invece in questi anni, da un lato si sono elargiti titoli non idonei a consentire un adeguato impegno professionale, facendo di molti diplomati degli scontenti perché non riescono a trovare un impiego in un momento di difficoltà per il mondo del lavoro, dall’altro, in molte aree del Paese vi è una rilevante dispersione scolastica che costituisce un danno enorme alle persone perché ne fa dei soggetti professionalmente non qualificati e dei cittadini non formati.

In questa situazione, da tutti verificabile, è mancata la voce del centrodestra che non ha avuto la capacità di mettere al primo posto della sua proposta politica la centralità della scuola e della formazione professionale, venendo meno ad una tradizione, quella delle scuole come il liceo Tasso di fine ottocento e della scuola voluta da Giovanni Gentile, che, con gli adattamenti richiesti dal passare degli anni, avrebbe potuto formare cittadini e professionisti, ”Dalla scuola alla vita”, come si intitola un bel libro edito da Pagine, coordinato da Paola Maria Zerman, nel quale ventidue studiosi hanno approfondito l’etica delle varie professioni, indicando anche il ruolo che le stesse rivestono nella società moderna e nello sviluppo della cultura e delle attività produttive. La Destra deve ripartire da lì.