Berlusconi, Minzolini, i telefoni sotto controllo: una storia che puzza

di Sergio Carli
Pubblicato il 12 Marzo 2010 - 17:14| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Minzolini con Berlusconi

Questa è una storia che puzza, di rancido, di definitivamente andato a male, dalla testa ai piedi. Puzza di protervia padronale nella forma e nella sostanza con cui Silvio Berlusconi si rivolge ad Augusto Minzolini. Puzza di bugia: il premier che sempre giura di “non aver spostato mai neanche una pianta in Rai” e poi telefona al “Direttorissimo” del Tg1 per imboccargli le parole dell’editoriale da diffondere alle venti. Puzza di servilismo nella forma e nella sostanza con cui Minzolini accoglie ed esegue. Puzza di infimo spessore civile nel come entrambi interpretano i ruoli rispettivamente di capo del governo e di direttore di giornale. Puzza anche di “servo encomio” il come e il perché Giancarlo Innocenzi, membro di una Authority di controllo, si sente in dovere di trovare “soluzioni” che soddisfino e plachino il potente che si lamenta. C’è odor, tanfo di sentina etica in questo scambio di “amorosi e complici sensi”.

Ma altra e intollerabile puzza emana dalla stessa storia. Sono intercettazioni di conversazioni telefoniche. Quale il telefono intercettato? Quello del presidente del Consiglio? In questo caso ci vuole ipotesi e indizio di reato gravissimi per spingere e giustificare una Procura a disporre l’intercettazione. Reati gravissimi che non ci sono. Anzi, riesce perfino difficile individuare il “reato”. Malcostume sì, quanto se ne vuole. Ma “reato” una conversazione tra un politico e un giornalista in cui uno chiede qualcosa all’altro? Allora si stacchino i telefoni nelle redazioni, è l’unica misura di “salute pubblica”.

Intercettato era il telefono del direttore del Tg1? Anche qui una Procura per mettere sotto controllo il telefono di un direttore deve avere ipotesi e indizi di gravi reati. Se si scoprisse che sotto controllo sono i telefoni del direttore di Repubblica, del Corriere della Sera, de L’Unità o del Fatto quotidiano, allora l’opinione pubblica democratica e liberale giustamente direbbe che è bavaglio, dittatura, intimidazione. Vale anche per Minzolini il cui Tg è peggio di un ufficio stampa del governo ma che non per questo ha perso i diritti civili. Puzza, puzza molto la pratica dei telefoni dei giornalisti sotto controllo e puzza di annebbiamento della ragione il fatto che qualcuno lo trovi naturale o addirittura “giusto” a seconda del giornalista o del telefono.

E puzza perfino questo “passaggio a rete”, questo assist fatto ad una campagna elettorale “vittimista” ancora una volta scelta da Berlusconi. Sarà un argomento in più per sterminare le intercettazioni come serio strumento di indagine. Sarà un motivo che forse non c’era per l’elettorato di centro destra per “assolvere” i suoi da impicci e imbrogli lavorati sulle liste elettorali. No, non c’è puzza di dietrologia. Ma puzza di ebbrezza molesta e scomposta questo confondere cattivi e malsani politica e giornalismo con illeciti e reati da Tribunale. Puzza questa corsa a far arrivare una registrazione “intercettata per caso” ai giornali. Puzza la gioia e la frenesia nel farne una bandiera.

Una storia che puzza, la storia di chi apre un vaso di cibo rancido, andato a male e decomposto e ci ficca le mani dentro, se lo ficca in bocca e drammaticamente, scompostamente se lo gusta.