Ciclisti liberi contromano in centro. Più multe per pagare le piste

di Sergio Carli
Pubblicato il 26 Aprile 2012 - 10:15| Aggiornato il 30 Ottobre 2019 OLTRE 6 MESI FA

Ci sono più multe nel nostro futuro per pagare le piste ciclabili. La prevalente demagogia ciclistica ha portato il Comune di Roma a promettere mille chilontri di piste entro il 2020. Il Pd, che quando scalzerà la destra ne farà certamemte di peggio, ora però dice la verità: ci vorranno 170 milioni di fondi. E Repubblica spiega anche come faranno a trovarli quei soldi, dirottando il 10% dei proventi delle multe.

Poiché tutti sanno che le multe sono per i Comuni una fonte di ricavo pianificata e incentivata, appare difficile che i Comuni possano dirottare una ventina di milioni di euro l’anno nella realtà romana per le piste ciclabili, senza cercare di adeguare le entrate da multe, facendone fare di più dai vigili o aumentando il valore unitario.

Si parte da Roma, perché sta per diventare, almeno per un fine settimana, la città delle bibiclette, col sindaco ritratto da Repubblica in una posa di abbastanza incerto pedalatore. Ma la spinta è inesorabile in tutta Italia, anche perché si tratta di appetitose occasioni di appalti e possiamo star certi che i partiti, se mai accetteranno un qualche taglio al fiume di denaro che gli arriva dallo Stato centrale, da qualche altra parte si dovranno finanziare.

I ciclisti sono un pericolo crescente, che da tempo si aggira per le strade delle città italiane, sta diventando più minaccioso per l’azione di una lobby potente e prepotente che radunerà sabato 28 aprile a Roma parecchie migliaia di appassionati per chiedere il diritto di scorrazzare senza freni e soprattutto quello di sfrecciare contro mano nei centri cittadini.

Già oggi i ciclisti rappresentano un pericolo per gli altri e soprattutto per sé. Già oggi sfrecciano contro mano nei budelli dei centri storici intasati, rischiano di travolgerti mentre cammini sul marciapiede e, purtroppo per loro, muoiono anche numerosi, per colpa del senso di impunità e di illegalità che dai motorini si è diffuso anche ai ciclisti. Il titolo di Repubblica del 25 aprile dà i brividi: “Un lungo elenco di vittime. Roma una trappola”.

Invece di studiare misure per limitare l’uso delle biciclette in città, Ministero e Sindaci sembrano tutti eccitati nel favorire la strage. La replica è ovvia: ci vuole più civiltà da parte degli automobilisti, devono andare più piano. Ma questo è velleitarsimo che induce solo a comportamenti sempre più arrischiati i ciclisti.

Illegalità e impunità sono già dalla loro, ma ora vogliono di più e si sono costituiti in una lobby che se conta solo poche migliaia di sostenitori, e però vocifera e trova di fronte a sé amministratori locali e nazionali alla disperata ricerca di consensi e pronti quindi a qualsiasi cedimento demoagogico pur di piacere. La situazione è imbarazzante e sarebbe comica se non fosse gravida di conseguenze gravi per ciclisti e pedoni ma anche per gli automobilisti e i loro assicuatori. Siamo al punto che il sindaco di Roma, il nero Gianni Alemanno , scavalca il più prudente e rosso sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Anzi, dove Alemanno ha ceduto alle pressioni e ha autorizzato il raduno, di sabato, Pisapia si è beccato anche gli insulti per avere pubblicato un fascicoletto in cui diffonde consigli di elementare buon senso agli intemerati ciclisti milanesi.

Il peso della lobby dei ciclisti, la cui espressione è la Fiab, Federazione amici della bicilcetta, trova una misura nel Corriere della Sera di Milano che dopo un pezzzetto sul suo sito internet Corriere.it che dal titolo diceva molto: “Biciclette contromano in città , un provvedimento che non convince tutti. Parecchi i dubbi. «Il provvedimento mette a rischio proprio i ciclisti». Ma per le associazioni:«E’ solo un primo passo»”, pubblicava sull’edizione di carta un primo articolo sostanzialmente ostile, domenica 15, subito però seguito da un altro, martedì 17, in cui si dà voce alle pretese dei ciclisti, incluso imporre nelle strade del centro il limite di velocità, per le auto, di 30 chilometri all’ora.

Milano è una città ideale per i ciclisti, perché è prevalentemente in pianura e anche perché le strade del centro centro sono affiancate da marciapiedi facili da percorrere protetti, per importanti tratti, da portici. Sotto quei portici i ciclisti e le cicliste sfrecciano impuniti, silenziosi e mortali come siluri.

Ma ormai la pratica è diffusa nelle grandi città del nord come Torino e anche a Roma, nonostante i sette colli e nonostante i sampietrini, i ciottoli che rendono le strade un percorso di guerra e ancor più precario l’equilibrio delle biciclette.

Sarà sfortuna, ma chi scrive ha rischiato un paio di volte di essere travolto da ciclisti in giacca e cravatta che sfrecciavano in strada a circolazione interdetta o contromano in un vicolo a senso unico dove le auto erano ferme in coda. La reazione dei ciclisti alle proteste è andata dalla minaccia di botte al rimprovero perché il pedone aveva attraversato la strada dove non c’erano strisce e senza controllare la provenienza da dove nessun veicolo sarebbe dovuto provenire.

Andare in bicicletta nei centri urbani non è attività proletaria. Una volta a Torino gli operai raggiungevano Mirafiori in bicicletta, in Emilia era un simbolo, al Sud il primo passo verso la libertà di movimento. Ma i poveri, che di solito devono spostarsi su grandi distanze per qualsiasi cosa, preferiscono l’auto o il motorino.

Andare in bici è diventata attività prevalentemente borghese e alto borghese: chi abita in centro non deve coprire grandi percorsi e quindi anche gli effetti indesiderati del sudore sono limitati. Puoi andare impunemente contromano e parlare al telefono, consapevole che nessun vigile ti fermerà mai, per paura di essere travolto o, peggio ancora, di provocare danni ai ciclisti con spiacevoli conseguenze civili e penali. Le biciclette non hanno targa e quindi sono una scuola di illegalità per i giovani e una pratica di arroganza per i più grandi senza rischio di multe a domicilio.

Molti viaggiano con seggiolini con bambini, perfino due bambini,dando prova di incoscienza tale da non richiedere protezione ma ritiro della patria potestà. Quale vigile oserebbe fermarli? La bicicletta è un mezzo instabile, più del motorino deve andare e andare veloce per tenersi in equilibrio e non sempre chi le conduce sembra avere la capacità di tenersi in posizione eretta sulla bici, se poi ci sono di mezzi dei bambini, chi ha il coraggio? può solo girarsi dall’altra parte e se crede pregare.

Ora però, anche se per i ciclisti e le cicliste il rispetto delle regole è un optional, essi vogliono essere sicuri del loro cattivo diritto e chiedono di potere sfrecciare contro mano nelle strade larghe almeno 4,25 metri. Non precisano se netto o lordo marciapiedi, netto o lordo auto in sosta. Una Smart, ferma, occupa 2 metri e mezzo, restano meno di due metri e anche se si presume che la larghezza sia da calcolare netto marciapiedi, un metro e 75 centimetri sono un po’ pochi per quel minimo di deviazione dalla traiettoria perfetta di una macchina in movimento e i barcollamenti di una bicicletta sul pavé cittadino, anche senza pensare ai turisti inesperti, alle signore distratte o al telefono, ai giovani con la musica nelle orecchie. Ogni giorno se ne vede una nuova, compresa l’incerta signora di mezza età, ben vestita e a mento in avanti, traballare sui sampietrini romani o sul pave milanese capelli al vento, il caschetto anti caduta legato dietro il sellino.

A dare nuova forza alla preoccupazione della grande massa dei cittadini inerti, indifesi e preoccupati, è stata la notizia , diffusa un po’ troppo trionfalisticamente dalla Fiab, che la direzione generale per la sicurezza stradale del Ministero Infrastrutture e Trasporti che “ha accolto una proposta della Federazione Italiana Amici della Bicicletta” di permettere la circolazione contro mano..

Ci sono state tali reazioni che Antonio Dalla Venezia, presidente nazionale della Fiab, si è sentito in dovere di precisare che si tratta solo di un parere, non “di una norma generale ed astratta”, che “va applicato con saggezza”, da parte degli organi proprietari delle strade (nei nostri casi, solitamente, i Comuni), che devono valutarne l’applicabilità concreta alle situazioni specifiche, in presenza di condizioni particolari”.

Accortamente, Dalla Venezia mette in guardia i suoi cari ciclisti che, “in assenza di diversa indicazione, continuano a valere le prescrizioni di rilevanza generale previste dal codice della strada che devono pertanto essere rispettate da tutti, ciclisti inclusi”.

Però tra i ciclisti e il resto del mondo c’è però una significativa differenza rispetto al senso di “portata innovativa e di buon senso” che Dalla Venezia attribuisce al parere del Ministero, perché alla fine si torna sempre a questi insensati parametri: “strade larghe almeno 4,25 metri, zone con limite di 30 km/h, zone a traffico limitato, assenza di traffico pesante”.

Il risultato è stato comunque immediato, perché ormai i ciclisti hanno preso il parere per legge e ci si sono subito adeguati.

Non è che le cose vadano meglio per i ciclisti nel resto del mondo, a parte il Canada, dove è possibile andare in bicicletta contro mano, in città come Edmonton o Calgary, che sono in mezzo al nulla, sono sotto la neve per metà dell’anno e dove hanno realizzato delle corsie riservate in strade che, se ci siete mai stati, sono avenidas, non i budelli intasati di auto in sosta dei nostri centri storici. Persino in Australia si chiedono chi può essere così matto da voler andare in bici contro mano nel traffico quasi inesistente di Sidney.

Una volta, ai tempi di Mao, in Cina circolavano solo biciclette e la sera, al tramonto, sembravano tanti pipistrelli, tutti neri nella loro mantellina maoista dell’epoca. Ora c’è da dubitare che esista un cinese che ama la vita che circoli in bici a cuor leggero nelle strade intasate di auto.

Fate una piccola ricerca su Google e il buon senso prevalente negli altri paesi civili: colpisce un post su un sito sportivo di un ciclista dell’Illinois, stato del Nord America, che condanna i ciclisti contro mano e riconosce che “i marciapiedi sono per i pedoni”.

Una situazione ancora più ostile si rileva in Gran Bretagna, dove si è arrivati all’estremo del capo di un’azienda di taxi inglese ha detto esplicitamente che i ciclisti sono degli irresponsabili che la morte se la vanno a cercare.

Posta la domanda a un taxista romano, la risposta è stata: “Lo penso anch’io, ma qui non si può dire, qui la politica imbastardisce tutto”. E dire che in quelle stesse ore Alemanno apriva agli aumenti delle tariffe…Non è un buon segnale.