Facebook ha sabotato il referendum di Renzi e lui ha porto l’altra guancia bloccando la web tax

di Sergio Carli
Pubblicato il 24 Gennaio 2018 - 06:04| Aggiornato il 29 Giugno 2019 OLTRE 6 MESI FA
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Matteo Renzi (foto Ansa)

ROMA – Facebook ha sabotato il referendum costituzionale di Renzi. Renzi ha premiato Facebook e Google e Amazon bloccando la web tax.

Facebook ha bloccato almeno una pagina schierata a favore del Si, basandosi su pochi reclami di sostenitori di D’Alema ecompagni. Tanto è bastato perché Facebook, servendosi delle sue regole oscure, misteriose e del tutto arbitrarie, spazzasse via i sostenitori del povero Renzi. Si può parlare di abuso da parte di Facebook della sua posizione più che dominante nel mercato dei social network? Si può parlare di eccesso di prudenza, per evitare grane? È materia di cui dovrebbe occuparsi l’Antitrust?

Certo non è stato né cauto né prudente Matteo Renzi, quando, buon emulo del suo evangelico omonimo, ha porto l’altra guancia e ha bloccato le giuste richieste del Fisco italiano.

La storia della web tax si trascina da un po’ di tempo e provoca animate discussioni in tutta Europa. Se ne parla tanto ma non si conclude mai niente.Ma in Italia  Renzi è stato rozzo e brutale fin dall’inizio: non se ne parla. Come ha risposto Facebook? Sabotando l’azione dei sostenitori del suo benefattore.

Più che di web tax si dovrebbe parlare di tassa sui profitti realizzati dalle multinazionali in Italia. Si tratta di una regola universale. Se uno straniero possiede un appartamento a Roma o a Londra o a Parigi o a Madrid e lo affitta, il fisco italiano, inglese, francesce, spagnolo, gli chiedono di pagare le tasse su quell’affitto, a prescindere dalla sua residenza fiscale. Poi verserà il saldo, se ci sarà un saldo da versare, al suo Paese di residenza, in base alla sua aliquota marginale. Ma intanto comincia a pagare le tasse dove il reddito è generato.
Perché un privato cittadino sì e le multinazionali no?

La questione delle tasse che le multinazionali dovrebbero pagare sui profitti realizzati in Italia non è nuova. Anni fa a Napoli ci fu il caso Philip Morris. Nacque come inchiesta penale da 10 mila miliardi di evasione e finì in una assoluzione generale, perché la contestazione, invece che sui profitti e sulle relative tasse, fu estesa a tutti i ricavi di 10 anni. Chi troppo vuole nulla stringe.

Il Fisco italiano è perfettamente in grado di sottrarre dai ricavi, ciclopici, delle grandi aziende internet i loro costi, ignoti ma certamente minimi rispetto al fatturato. Con quel denaro ci si potrebbero fare tante cose, incluso dare sostegno alla morente editoria di giornali, soffocata dalla tv e dai colossi di internet.