Scuola, finti pollai e polli veri: gli insegnanti

di Sergio Carli
Pubblicato il 14 Settembre 2011 - 16:48 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Nella scuola italiana i pollai non ci sono ma i polli sì. I “pollai”, cioè le classi super affollate sono un’invenzione delle mamme ansiose e dei giornali megafono. Su questo punto, incredibile ma vero, ha ragione il ministro Mariastella Gelmini che dice: “Le classi con più di trenta alunni sono 2108 su 350.000 mila, lo 0,6 per cento”. Potete non crederci ma è vero, certificato da certificatore esterno alla polemica italiana, l’Ocse. E che dice, anzi conteggia l’Osce? Che in Italia c’è un insegnante ogni 10,7 alunni nella scuola primaria (media dei paesi Ocse 16 alunni per insegnante). Che nella scuola secondaria italiana c’è un insegnante ogni 11 alunni (media Ocse 13,5).

I pollai non ci sono ma i polli sì, e i “polli” sono gli insegnanti italiani che dal 2000 al 2009 hanno visto i loro stipendi diminuire dell’un per cento mentre la media degli stipendi nei paesi Ocse cresceva del 7 per cento. Un insegnante italiano deve attendere 35 anni di lavoro per arrivare al massimo della retribuzione possibile, nei paesi Ocse in media ne bastano 24 di anni. Somma e sottrai alla fine un insegnante italiano guadagna circa il 40 per cento in meno dei suoi omologhi stranieri. Polli, polli spennati dai governi italiani che danno pochi soldi alla scuola. Ma polli spennati gli insegnanti italiani anche dalla dedizione acritica e ottusa ad un sindacalismo che da decenni rifiuta incrementi di salario basati su valutazione e merito. In Italia vale solo l’anzianità, per voler di sindacato e convinzione di categoria. Polli spennati anche dalla testarda ed autolesionista difesa del diritto naturale alla cattedra di chiunque abbia fatto l’insegnante precario: 67mila entrati in ruolo solo quest’anno. Polli spennati dall’alleanza tra famiglie, sindacati e prof che da decenni abbassano la qualità della scuola perché tutti possano insegnare e tutti essere promossi. E ciononostante, nonostante i drammatici esami che il 98 per cento degli alunni supera, nonostante l’inutile e vuota laurea triennale, l’Italia ha uno dei più bassi numeri di diplomati e laureati in rapporto alla popolazione. Polli spennati dalla demagogia che grida al caro università quando l’università italiana costa pochissimo a chi la paga di tasca sua e molto di più al fisco che finanzia i “non abbienti” solo nella dichiarazione dei redditi. Polli spennati dalla demagogia che grida alla cancellazione degli “insegnanti di sostegno” quando “insegnanti di sostegno” è diventata qualifica burocratica e non specializzata per avanzare in graduatoria. Infatti quelli di vero sostegno sono pochi, ma quelli con l’etichetta sono 94.430.

Polli spennati che assolutamente non vogliono cambi il sistema che li spenna. E intorno a loro il pollaio, questo sì, di chi dal governo dice di difendere l’istruzione di qualità che non finanzia e di chi, oggi dall’opposizione, dice di difendere gli interessi della scuola identificati con l’immobilità della scuola e del suo organico. Polli spennati dal pollaio di chiacchiere folli sulla scuola “luogo di socializzazione dell’esperienza” e mai, dio non voglia, di apprendimento e trasmissione del sapere e delle competenze, sulla scuola come ammortizzatore sociale della disoccupazione intellettuale, sulla scuola del tutti uguali non nelle opportunità ma nei risultati. Polli e pollai sui quali la Gelmini apre una risibile coda di pavone: “In Italia gli studenti dai 7 ai 14 anni fanno 8316 ore di lezione, la media Ocse è di 6739 ore”.  Circa 1.500 ore in più in classe, ma a far che? Ma questo non domandatelo alla Gelmini e, purtroppo, neanche ai sindacati, ai genitori, ai presidi e agli insegnanti. Questi ultimi che, per non rispondere, hanno pure l’alibi vero dell’esser sotto pagati.