Il Giro d’Italia non deve partire da Israele che nega i diritti umani: appello internazionale

di Sergio Cofferati
Pubblicato il 17 Febbraio 2018 - 06:59| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Il Giro d'Italia non deve partire da Israele che nega i diritti umani: appello internazionale

Il Giro d’Italia non deve partire da Israele che nega i diritti umani: appello internazionale

ROMA – Il Giro d’Italia non deve partire da Israele, come ha deciso l’organizzatore, la Rcs Media Group, editore della Gazzetta dello Sport oltre che del Corriere della Sera. Nega i diritti umani, occupa militarmente territori che non le appartengono, è teatro di continue violazioni del diritto internazionale.

Sono tra i firmatari, insieme a altri europarlamentari come Eleonora Forenza e Curzio Maltese, e a Luisa Morgantini, ex vicepresidente del Parlamento Europeo, dell’appello internazionale che invita RCS MediaGroup, organizzatore del Giro d’Italia, a spostare la sua “Grande Partenza” del 2018 da Israele, a causa delle sue gravi e crescenti violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani dei palestinesi.

All’appello hanno aderito oltre centoventi organizzazioni per i diritti umani, sindacati, associazioni per il turismo etico, gruppi sportivi e religiosi provenienti da oltre 20 Paesi.

Fare svolgere il “Giro d’Italia” in Israele mentre continua l’occupazione militare e la discriminazione contro i palestinesi sarebbe una scelta profondamente sbagliata. Inoltre, gli organizzatori del Giro stanno ingannevolmente presentando Gerusalemme est, che è sottoposta da 50 anni all’occupazione militare israeliana, come se facesse parte dello Stato di Israele e fosse la sua capitale unificata. La tappa finale, prevista nel sud di Israele, passerebbe vicino a decine di villaggi di beduini palestinesi che Israele si rifiuta di riconoscere e a cui non fornisce servizi fondamentali.

La scelta di far partire il giro d’Italia 2018 da Israele, in un momento in cui lo Stato Israeliano continua a negare i diritti umani fondamentali dei palestinesi e prosegue in una politica illegale di difesa e ampliamento degli insediamenti in territorio palestinese, rappresenterebbe una decisione profondamente sbagliata, contraria ai messaggi di pace, solidarietà e fratellanza che lo sport dovrebbe sempre dare.