Sergio Mattarella al Quirinale. Come cambierà il potere in Italia

di Claudia Fusani
Pubblicato il 3 Febbraio 2015 - 20:17| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Sergio Mattarella al Quirinale. Come cambierà il potere in Italia

Sergio Mattarella (Ansa)

ROMA – Nel grande salone delle feste del Quirinale è difficile anche mettere in fila due passi da tante gente che c’è. Ma si notano tre gruppi che si spostano in blocco, senza un ordine, un po’ a caso. Dove s’intravede la testa bianca, c’è il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: il padrone di casa avanza con passo costante stringe mani, se è il caso dice due parole all’interlocutore, talvolta sorride con quel sorriso che è molto più di un sorriso.

Dove s’intravede una testa scura, qualche pacca sulle spalle nonché mani alzate, decisamente più vivace, c’è Silvio Berlusconi. “Non vedo non sento ma respiro” aveva detto il Cavaliere appena arrivato al Quirinale. Parlerà, invece, e tanto. Ma mai con il Presidente della Repubblica. Il terzo gruppo è certamente il più agitato: il presidente del consiglio Matteo Renzi parla, gesticola in quel modo tipico dei toscani di accompagnare i pensieri con le mani oltre che con le parole. “Pactus interruptus?” scherza con il presidente della Commissione Affari costituzionali Francesco Paolo Sisto, azzurro di area fittiana che ha in gestione la riforma costituzionale.

Se con l’insediamento del presidente Mattarella comincia “l’era nuova” dopo i nove anni di Napolitano, il salone delle Feste del Quirinale dove sono invitati tutti e tre i poteri dello Stato, alte cariche della magistratura comprese, è certamente un punto di osservazione originale per capire se, quanto e come cambierà la scena politica nelle prossime settimane. E mesi.

Conviene partire da Berlusconi. Immagini e parole dimostrano che il patto del Nazareno è vivo, vegeto e lotta insieme a noi. In sei giorni è successo di tutto. Da quasi politicamente morto, con tutto il centrodestra, per non aver capito in tempo la necessità di confluire con i voti su Mattarella, Berlusconi si ritrova invitato al Quirinale (così come previsto dal cerimoniale e seppure in sesta fila) e a cinque settimane dal fine pena per Mediaset. Il terzo posto sulla scena, complice anche l’assenza di Grillo, è certamente suo. Berlusconi si porta dietro per il salone giornalisti e fotografi. Dice di “non aver mai dubitato della lealtà di Denis Verdini”; se lui non ha fatto la rivoluzione liberale “è colpa degli altri, di chi stava all’opposizione, della magistratura e di ben tre capi di governo ostili” e circa la sua posizione di “segregato ad Arcore”, ha appena concluso “la lista delle 35 nefandezze politiche e giudiziarie fatte contro di lui” e che renderà pubblica “quando sarà possibile”. Si presume il 9 marzo. Sul Nazareno agita un po’ di suspence: “Se finora sulle riforme abbiamo detto sì anche a cose che non ci convincevano, d’ora in poi diremono”.

Non ha perso la naturale predisposizione a barzellette (“i siciliani fanno i conti con la lupara”) e gaffe. A Rosi Bindi che lo saluta con il massimo intento pacificatore, il Cavaliere fa notare che “non si aspettava di vedere tanta commozione da un uomo…. Pardon, da una donna come Bindi”. Il presidente della Commissione Antimafia constata a sua volta che “in quanto a galanteria con lei è sempre una battaglia persa”.

Se nel suo girovagare – scortato dai parlamentari di Forza Italia, distanti gli Ncd – Berlusconi non incrocerà mai il Presidente Mattarella (“conto di avere presto un appuntamento con lui”) ma più volte Renzi. Il premier lo cerca per presentargli il ministro Pier Carlo Padoan. “Spero non sia birichino come te” dice Berlusconi. “Eh, ma io lo sono meno di te” replica Renzi. E così, nella classifica dei birichini, alla fine il Cavaliere resta primo.

Anche il colpo d’occhio lo dice: Matteo Renzi è saldamente in sella, sicuro di sé, stringe le mani ai capi di polizie e forze armate, è sorridente, fa battute, spiega come ha fatto a sedurre la Merkel (“Palazzo Vecchio, Uffizi e Michelangelo, irresistibile”) e a travolgerla con la sindrome di Stendhal e dà dritte al ministro Franceschini: “Prepariamo un tour così per ogni leader”. Un po’ oltre “very bello”. .

Sembra Renzi il padrone di casa. Quello vero invece, il presidente Mattarella, continua ad aggirarsi con fascinosa timidezza tra gli arazzi e i lampadari di cristalli del Salone delle Feste. Pur scortato dai corazzieri in borghese, si muove piano e con un filo di incertezza tra così tanti ospiti e tutti che gli vorrebbero dire qualcosa e stringerli la mano.

Ha parlato mezz’ora, prima alla Camera. Ha strappato 46 applausi di cui uno, il primo, quando è entrato in aula, lungo quattro minuti. Ha usato parole semplici ma concetti fondamentali. Una lista di priorità che fa ancora eco in testamentre il Presidente avanza nella sala: più economia, più diritti, una giustizia in tempi rapidi, lotta alla corruzione e al terrorismo, unità del paese.

Soddisfa tutti, persino i Cinque stelle. “Benvenuto Presidente” twitta Beppe Grillo. “Convinto del mio voto” riesce a dire il ministro Angelino Alfano.“Serio, senza illusionismi” concorda Fitto. Giuliano Amato, troppo a lungo presidente candidato, regala una delle sue perle: “ Dopo di me, era il mio preferito”. E se ne va subito.

Quella di Mattarella è la figura di un politico che prenderà presto il centro della scena mentre Renzi avrà a che fare, con difficoltà variabili, con una delle tre maggioranze disponibili. “Sarò arbitro – ha detto il Capo dello Stato nel discorso alla Camera – ma i giocatori mi devono aiutare con la correttezza”. Si riferiva anche, soprattutto, al percorso delle riforme. “Quante volte Napolitano ha corretto i testi, e quante volte non gli hanno dato retta “sussurra un membro dello staff del Quirinale.

Mattarella prenderà piano ma irrevocabilmente la scena. Lo farà a modo suo – con le mani dietro la schiena, la testa un po’ declinata – anche nella lotta alla corruzione (”divora risorse”), al terrorismo e alle mafie “contro cui si deve muovere una moltitudine di persone oneste”. Ha ricordato alcuni eroi uccisi dalla mafia. Ha citato Falcone e Borsellino ma non il fratello Piersanti.

Era il 6 gennaio 1980, via Libertà, Palermo. Nella foto che racconta quella tragedia si vede il corpo riverso sulla macchina del presidente della regione Sicilia, la moglie disperata, il fratello Sergio che lo tira fuori dall’auto e un giovane sostituto procuratore di turno in quel giorno di Befana. Il pm era Piero Grasso. Che stamani gli ha restituito le funzioni (assunte con le dimissioni di Napolitano) proprio ricordando quella giornata e quegli anni. Ora sono uno Presidente della Repubblica e l’altro Presidente del Senato. Esattamente 34 anni dopo si chiude un cerchio. E comincia un’altra storia.