Referendum autonomia, Di Maio vuole salire sul carro dei vincitori senza metterci la faccia

di Silvia Cirocchi
Pubblicato il 23 Ottobre 2017 - 13:02| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
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Luigi Di Maio (foto Ansa)

ROMA – La credibilità del nuovo leader del Movimento Cinque Stelle perde di consistenza ogni giorno che passa. Ogni uscita di Luigi Di Maio fa perdere credibilità ad un movimento che di credibilità oramai ne ha davvero poca. Questa volta la questione riguarda il Referendum per l’Autonomia di Lombardia e Veneto.

“Noi l’abbiamo sostenuto fin dall’inizio, è una vittoria anche del Movimento Cinque Stelle” pontifica Di Maio. Ed in effetti non gli si possono dare tutti i torti perché qualche mese fa dichiarò che il M5S avrebbe sostenuto i referendum: “L’idea costituzionale dell’autonomia territoriale – dichiarava davanti alle telecamere il candidato premier dei Cinque Stelle – è sempre stata un nostro obiettivo che abbiamo portato avanti, soprattutto dal punto di vista delle decisioni politiche, come nel caso della Tav o del Muos”.

Peccato che tra gli annunci e l’effettiva scesa in campo ne passa. Infatti Di Maio si è tenuto sulla linea “li appoggio, ma non troppo” non sia mai non vadano come devono andare. Meglio non sbilanciarsi per essere pronti ad entrambe le eventualità: salire sul carro dei vincitori (come è stato) o defilarsi facilmente in caso di sconfitta. Non si son visti sul web i grillini sostenere questo referendum come se fosse una loro battaglia, e si sa che se sostengono qualcosa la loro presenza si fa massiccia.

Nemmeno alla vigilia del voto risultano pervenute dichiarazioni di Beppe Grillo, figuriamoci di Di Maio. Ma la palma del vincitore di opportunismo va al consigliere regionale lombardo Stefano Buffagni (M5S) che mesi fa dichiarava: «Il quesito in Lombardia è stato proposto dal Movimento e chiede in maniera inequivocabile di avere maggiori forme di autonomie», poi l’altro giorno, preso evidentemente dall’ansia da quorum derubricava la questione «Mi aspetto che vinca il sì e mi auguro che per l’affluenza ci sia almeno un voto in più rispetto al referendum sulle trivelle – che in Lombardia fu del 30,4% – Ma per noi è già un successo il fatto che si voti. Questa è la democrazia diretta, il sogno di Gianroberto Casaleggio. La politica non è occupare la tv come fa Salvini promuovendo solo sé stesso».

Insomma giustifica anche lo scarso impegno come mancanza di manie di protagonismo. Quindi questi grillini sono paladini dei Referendum, la domanda quindi che in molti si pongono ora è: se sono dei così forti sostenitori della democrazia diretta perché la Raggi a Roma fa melina sul Referendum proposto dai Radicali che hanno raccolto 33mila firme (su 29mila necessarie) per la proposta della messa a gara del trasporto pubblico della Capitale? Sono più di 70 giorni che il sindaco della Capitale non ci sente da quell’orecchio si lamentano i Radicali. Ma come, secondo i pentastellati i referendum non erano “un’arma meravigliosa a disposizione dei cittadini?”