Padre violento può vedere il figlio? Due casi, due sentenze opposte

di Simona Napolitani
Pubblicato il 15 Ottobre 2014 - 06:31| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

 

Padre violento può vedere il figlio? Due casi, due sentenze opposte

La notizia su Repubblica

FIRENZE – La violenza in famiglia può assumere diverse forme, ma, a prescindere da come si manifesta, è sempre devastante, sia per le donne, sia per i figli. Purtroppo non sempre i giudici rispondono al fenomeno in maniera coesa, i loro punti di vista sono a volte diversi e danno purtroppo luogo a pronunce contrastanti che possono offrire il fianco al reiterarsi di condotte dannose, perché non censurate.

Il punto della questione è se il minore ha per forza bisogno di confrontarsi con due genitori, se il padre, posto che sia violento, è indispensabile; come questo padre può esercitare la sua genitorialità? Incontri protetti a vita? Oppure c’è un margine di recupero per l’uomo violento? Domande che a volta non trovano risposte, a volte le risposte sono diverse. Un recente titolo di giornale “Firenze, lui condannato per pugni all’ex moglie, ma il Giudice impone gli incontri col papà “vanno garantiti i rapporti con i due genitori”. Scrive Franca Selvatici su Repubblica:

Il bambino si dispera, piange e si ribella ogni volta che deve incontrare il padre. «E’ inutile che urli, hai un cervello come un bambino di due anni, mi fai pena », gli ha gridato durante l’ultimo incontro. «E lui, il mio ex marito, era diventato tutto viola, come quando mi picchiava», racconta la madre. «Io non so come ho fatto a sposarlo. Era un violento, perdeva le staffe. È uno che ti massacra di botte. Ma io per anni l’ho sempre protetto. Gli volevo bene. Sono stata una di quelle donne che hanno subìto violenze di ogni genere. Ma ora no, non più. E sono stufa di non essere creduta, che gli assistenti sociali dicano che è colpa mia se mio figlio non vuol vedere il padre».

Il bambino, che chiameremo Filippo, ha nove anni e non ha avuto in dono una famiglia felice. Aveva nove mesi quando il padre se ne è andato, due anni quando i genitori si sono separati. Dice la madre che il figlio a 4 anni e mezzo, mentre era fra le sue braccia, vide il padre che la colpiva con uno schiaffo, e non l’ha dimenticato. Solo saltuariamente il suo ex marito ha pagato gli alimenti. È stato condannato più volte per violazione degli obblighi di assistenza familiare e qualche mese fa la corte di appello gli ha confermato una condanna per lesioni: in un giorno di estate del 2008 si era infuriato perché la moglie si attardava a salutare il bambino in partenza con lui per la Calabria e l’aveva colpita con un pugno gridando «Togliti dai c… ché devo partire », rompendole due costole.

«Preferisco che finisca in orfanotrofio piuttosto che resti con te». È una delle tante minacce che la madre denuncia di aver ricevuto dall’ex marito. In tale drammatico conflitto, però, non risulta che il padre abbia mai alzato le mani sul bambino. È per questo che, dopo quattro anni in cui era praticamente scomparso, quando ha chiesto di riallacciare i rapporti con il figlio ha ottenuto dal tribunale, che a suo tempo aveva decretato l’affidamento congiunto del bambino, di poterlo vedere in incontri protetti. La ex moglie non si è opposta. È Filippo a ribellarsi, a piangere, a tentare ogni volta di fuggire, ad essere trascinato a forza agli incontri dagli educatori. «Danno la colpa a me», si tormenta la madre. Le hanno fatto anche balenare il pericolo che il bambino le possa essere sottratto se continuerà a ribellarsi. Insorge l’avvocato Ignazio Virgilio: «E stata l’incapacità manifesta degli operatori sociali a indurre il piccolo a rifiutare ogni incontro con il padre». L’avvocato sollecita perciò il tribunale a sostituire gli operatori che si occupano del caso.

«Il bambino ha bisogno di entrambi i genitori. E il padre ha mostrato una condotta assolutamente positiva, come si desume dai verbali», sostiene l’avvocato Federica Ranucci che assiste l’uomo. «Non c’è una ricetta a priori. E non c’è una formula magica», spiega Laura Laera, presidente del Tribunale dei minori di Firenze. «Il principio generale è che dovrebbero esserci rapporti equilibrati. Ma non è detto che un bambino che rifiuta uno dei genitori sia patologico. Però non è un dogma neppure che un genitore violento non debba avere rapporti con il figlio. Bisogna vedere. E, certo, bisogna ascoltare i piccoli, spiegare, essere sempre molto leali e sinceri. Ma il problema non si fa risolvere al bambino. Dobbiamo risolverlo noi adulti».

Ma è sempre vero? Di diverso avviso – in un altro caso – il Giudice penale di Roma, che invece ha vietato a un padre violento di avvicinarsi alla moglie e al figlio. Nella sua ordinanza si legge che il padre del minore si reca sotto casa e suona incessantemente al citofono dell’appartamento ove vive il bambino;
telefona continuamente ed invia alla ex compagna sms molesti e minacciosi;
minaccia l’ex compagna dicendole “vuoi vedere che ti ammazzo” , alla presenza del figlio.
Il Giudice, considerate tali condotte, protrattesi nel tempo senza alcuna remora a fronte del coinvolgimento del figlio minore, nonché caratterizzate da una allarmante escalation ed intensità (culminata con un episodio di pesanti percosse alla donna, davanti al bambino che piangeva inorridito), prescrive il divieto al padre di avvicinamento alla persona offesa e al figlio minore, con l’ulteriore prescrizione di non comunicare attraverso qualsiasi mezzo con l’ex compagna e con il minore.

Una decisione del Giudice civile, una del Giudice penale, contrapposte ed inconciliabili: un padre violento allontanato, un padre violento imposto al minore che non desiderava avere contatti con lui.

Forse ci vorrebbe un po’ di ordine e capire che un figlio maltrattato, un figlio testimone di violenza perpetrata ai danni di sua madre subisce danni, a volta irreversibili. E’ possibile tutelarlo? Occorre chiarire tanti dubbi, fare luce su molti aspetti, per poter dare indicazioni chiare ai soggetti deboli che necessitano di tutela.