Lo Stato paga in ritardo: servono mappatura e tracciatura

di Marcello Degni
Pubblicato il 11 Marzo 2012 - 14:38| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Ultimamente viene affrontato con grande enfasi il tema del ritardo di pagamento alle imprese fornitrici di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione (vedi da ultimo, Repubblica 29 febbraio 2012, che titolava in prima pagina, a nove colonne: “Ecco il piano di Governo e Bankitalia per restituire 20 miliardi alle imprese”).

Il problema è reale e di dimensioni notevoli: riguarda la generalità delle amministrazioni pubbliche, si concentra nel settore sanitario, vede l’Italia tra i cattivi pagatori nel contesto europeo, è significativamente più rilevante nella parte meridionale del paese. Si potrebbe aggiungere infine che presenta un forte grado di indeterminatezza: le stime, effettuate da molte associazioni di fornitori, presentano valori tra loro molto divergenti e questo, di per se, rappresenta un segnale evidente di inefficienza dell’operatore pubblico.

I debiti commerciali degli enti della pubblica amministrazione in attesa di essere pagati non dovrebbero essere stimati dai creditori; dovrebbero bensì essere conosciuti dagli enti debitori con esattezza (all’euro si potrebbe dire) e il relativo ammontare pubblicato ufficialmente, secondo un predefinito schema riassuntivo, ad intervalli regolari. E’ evidente che in molti casi, le pubbliche amministrazioni non conoscono, se non con grande ritardo e molta approssimazione, i beni e servizi che hanno acquistato, ed il relativo prezzo da pagare.

Le ragioni del ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, sono riconducibili a due ordini di fattori: la carenza di liquidità e la difficoltà di gestire il ciclo passivo (come, con ampia documentazione, si analizza nel saggio: M. Degni, P. Ferro, “I tempi e le procedure dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni”, CNEL 2012).

La prima ragione è spesso l’unica ad essere considerata poiché negli ultimi quindici anni, a partire dal periodo che precede l’ingresso nella moneta unica, si è spesso agito, sotto la necessità del contenimento del deficit e del debito pubblico, con restrizioni di bilancio e manovre di tesoreria che hanno condizionato significativamente le possibilità delle amministrazioni di rispettare il programma dei pagamenti.

Le cause della carenza di liquidità dipendono: dagli interventi sulla spesa pubblica centrale e dal ritardo con cui vengono effettuati i trasferimenti tra livelli di governo (da Stato a Regioni, da Stato a enti locali, da Regioni a enti locali); dal ritardo relativo alle procedure di accertamento e riscossione (spesso effettuate dal centro e successivamente trasferite); dal sistema contabile dello Stato e degli enti territoriali (basato sul principio della competenza giuridica e della gestione dei residui); dai limiti posti all’indebitamento degli enti territoriali; dai vincoli del Patto di stabilità interno (che agisce sugli impegni e sui pagamenti); dall’obbligo del pareggio di bilancio, ormai divenuto vincolo stringente anche per il livello centrale; dalla rigidità delle spese correnti e dall’applicazione di tagli lineari per approssimare il pareggio. L’intreccio di queste cause ha portato, con diversi livelli di approssimazione, alla individuazione di soluzioni di natura finanziaria per smaltire l’arretrato accumulato e rispondere in tal modo alle legittime richieste dei creditori, trasformati impropriamente in finanziatori del sistema pubblico.