Tasse, figlie delle corvé medievali: ieri il feudatario e la Chiesa, oggi lo Stato con le sue gabelle moderne

Tasse e corvé, gabelle, pedaggi e addizionali. Prima della rivoluzione francese, il feudatario organizzava il fondo agricolo e lo difendeva con le armi.

Di quel periodo ci sono state tramandate le crudeli condizioni di sfruttamento dei contadini.

In realtà le persone che risiedevano nel feudo godevano di una particolare situazione di vantaggio che derivava dalla protezione del signorotto.

Quei contadini erano i più acerrimi nemici dei lavoratori ambulanti, che allontanavano con la forza. Il contadino stanziale veniva così a beneficiare di parte della rendita legata al territorio.

Il signore sosteneva che i pedaggi erano semplicemente un giusto rimborso per le spese di manutenzione delle strade, dei ponti e dei traghetti o per tenere i boschi puliti.

Le odiose gabelle servivano per mantenere l’esercito, le forze di polizia e finanziare le guerre.

La Chiesa incamerava annualmente un decimo del prodotto e del bestiame di ogni proprietario terriero. Con questo reddito e il suo patrimonio, la Chiesa faceva vivere i parroci nella povertà e i vescovi nel lusso, offriva asilo alle vedove o a donne sposate e separate dai loro mariti.

Le Leggi sui Poveri, imponevano a ogni parrocchia di aiutare le persone in pericolo di morire di fame. I commercianti che distribuivano i beni se la prendevano con i numerosi pedaggi che gravavano sugli spostamenti delle merci: quasi a ogni fiume, canale o crocicchio trovavi l’esattore con le proprie forze “armate”. Molti di loro non sapevano se temere di più i ladri che li rapinavano o lo Stato che dava loro protezione.

Per capire che quella era l’età dell’oro e che le cose sono semmai peggiorate, farò l’elenco sommario delle “gabelle” che resistono ai nostri giorni sotto il nome di tasse

Imposta sulla pubblicità, Tassa smaltimento rifiuti, Tassa per l’occupazione spazi ed aree pubbliche, Canone per la raccolta, l’allontanamento, la depurazione e lo scarico delle acque. Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi. Imposta di scopo per la realizzazione di opere pubbliche, Asse sui veicoli.

Tasse sulle concessioni governative (rilascio passaporto, licenza porta pistole e fucile, Radio e televisione, mediatori, costruttori, spedizionieri, periti assicurativi, giornali e periodici).

Imposte sulle assicurazioni, Imposta sui trattenimenti, Tasse sulle emissioni inquinanti, Contributo di riciclaggio e di risanamento ambientale.

Tasse e Iva, Irpef ecc,

Per non tediare troppo il lettore, ho trascurato l’Iva, l’Irpef, l’Irpeg, il bollo, le imposte sugli immobili e sulle transazioni azionarie, registro e decine di altri tributi. Bisogna infine considerare le “imposte” più odiose. Le sanzioni e le soprattasse il cui gettito supera spesso quello dei tributi.

E non trascurare le tecniche di accertamento induttivo e per parametri.

I servizi autostradali sono stati trasferiti ai privati fuori controllo, che gonfiano le proprie tasche con pedaggi da capogiro e cercano di risparmiare sulla manutenzione a costo di mettere a rischio la vita degli utenti.

Insomma, l’Erario nazionale e gli enti locali si fanno pagare ogni servizio ed affermano che lo Stato moderno deve ampliare il raggio di intervento fiscale perché fornisce ai cittadini servizi un tempo impensabili.

Come la sanità gratuita, i cui costi nel bilancio pubblico non rappresentano peraltro la percentuale più rilevante.

Si pone a questo punto un problema: qual è il costo dei burocrati dedicati all’accertamento e all’esazione delle imposte? La lettura del bilancio statale non consente di capire se il singolo tributo determini un gettito superiore al costo pagato per la struttura o per i costi trasferiti sulle spalle del cittadino.

Questa situazione determina l’egocentrismo delle amministrazioni pubbliche che fissano una serie di obblighi e determinano un effetto-burocratizzazione incontrollabile. La produzione cartacea imposta dagli enti di indirizzo o controllo raggiunge livelli ormai intollerabili e tali da imporre una seria politica di deregulation. 

Un tempo i signorotti imponevano ai sudditi la corvé, ossia l’obbligo di prestare gratuitamente un certo numero di giornate lavorative durante l’anno.

Lo stesso sta avvenendo in Italia. Qualsiasi funzionario statale è in grado di porre a carico del contribuente il costo di ingenti corvée. Come ad esempio la redazione di modelli artatamente cervellotici che presuppongono competenze ad hoc.

L’errore materiale nella indicazione del codice fiscale o della partita Iva viene punito con sanzioni automatiche il cui gettito supera spesso quello degli stessi tributi. 

Questo nel calcolo della ritenuta d’acconto sulle retribuzioni o nella compilazione della dichiarazione dei redditi più complessa al mondo,

Costa di più all’impresa l’errore del ragioniere, rispetto a quello dell’ingegnere che ha calcolato la tenuta del ponte.

È ormai evidente che il cittadino medio italiano non ha il tempo di leggere un libro, di riflettere sugli eventi, né di pensare a una qualche sommossa contro il sistema. Per la ragione che, ogni 15 giorni, deve sottostare a defatiganti adempimenti burocratici, in specie tributari. Un modo originale di mantenere l’ordine sociale!

Purtroppo la nostra incolta classe politica non è in grado di capire il problema fiscale delle tasse nella sua essenza.

E salva la propria coscienza limitandosi a chiedere la riduzione delle aliquote senza entrare in profondità e stabilire quali sono le “gabelle” e le corvée da eliminare del tutto.

Strutture sorte con fini limitati divengono ben presto giganti costosi che la collettività, alla lunga, non riesce a mantenere.

Eppure, tutti questi uffici giustificano sul piano etico la loro funzione, quella di impedire che la platea aggiri le Regole; essi si ergono a difesa di valori come l’equità e la giustizia, finché qualcuno non scopre che è meglio un sistema meno giusto ma sopportabile.

Ancora una volta il parassita pubblico sta mangiandosi la pianta e rischia di morire con questa.

 

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