Terremoto: Emilia vs L’Aquila. Gabrielli e il declino in Abruzzo

di Antonio Del Giudice
Pubblicato il 17 Ottobre 2012 - 08:33 OLTRE 6 MESI FA
La città di Concordia gravemente colpita dal terremoto (LaPresse)

ROMA – Forse Franco Gabrielli, capo della Protezione civile e già prefetto de L’Aquila, l’ha sparata un po’ forte. La messa giù un po’ da bar, dicendo che gli emiliani hanno reagito meglio degli aquilani al terremoto.

Ma, indubbiamente, ha posto un problema che esiste, un problema che esiste per ragioni oggettive prima che antropologiche o di costume. Intanto una città di 70 mila abitanti, com’è L’Aquila, non è la stessa cosa di un paesi di poche migliaia di anime, con tutto ciò che questo vuol dire in fatto di problemi concreti.

C’è poi il dilemma di una città d’arte da tutelare e da ricostruire, dilemma che viaggia da tre anni e mezzo fra sogno e realtà, nel mare di casette sparse sul territorio che ne hanno sfigurato il volto e l’identità. Ciò detto, non sono mancati comportamenti sciacalleschi e criminali, fra politiche incapaci e tentativi di infiltrazione camorristica: cosa che, se accade al Pirellone, può ben accadere in luogo terremotato.

Forse Gabrielli si riferiva al luogo comune che ha visto gli emiliani più interessati alla ricostruzione della fabbrica e gli aquilani più attenti alla ricostruzione della casa. Un luogo comune verosimile, viste le condizioni di partenza delle due realtà. La fabbrica al Nord, la casa al Sud è un classico, anche senza terremoti, figuriamoci con i terremoti.

Per capire che cose c’è dietro al fenomeno, basta leggere il rapporto “L’Aquila 2030, strategie di sviluppo economico”, elaborato da un gruppo di studio internazionale e reso pubblico qualche giorno fa dal ministro Fabrizio Barca, inviato a L’Aquila come plenipotenziario del governo Monti.

Dice il corposo rapporto (quasi cento pagine) che L’Aquila rischia un declino irreversibile, certo accelerato dal terremoto, ma incominciato da prima dell’aprile del 2009.

La sua struttura economica, infatti, si articola su pensioni, pubblico impiego, università e un debole settore manifatturiero. Ora, se il giorno dopo il terremoto dell’Emilia, gli operai sono tornati in fabbrica e alcuni ci hanno rimesso la vita, ciò è conseguenza dell’organizzazione economica di quel territorio.

L’Aquila, nell’occasione, ha visto accrescere il bisogno di danaro pubblico, per la ricostruzione, danaro pubblico che già scarseggiava e che aveva già messo in crisi l’economia del territorio. Il sisma le ha dato la mazzata finale, anche se sarà proprio il sisma (dice il Rapporto) a consentire un aumento di ricchezza nei prossimi dieci anni, per via degli investimenti e del lavoro necessari per ricostruire la città.

Ma dopo? Dopo saranno problemi anche più seri di quelli di oggi, se la città non cambierà la sua vocazione economica e culturale. Lo Stato non avrà, come già adesso non ha, risorse da investire in pensioni e nella pubblica amministrazione.

Il Rapporto Barca vede una sola via di uscita: che L’Aquila diventi una città universitaria “residenziale”, cioè un polo di studio e di ricerca che porti almeno 15-20mila studenti e 5-600 docenti e non docenti che vivano in città, non siano pendolari come avviene oggi, specie dopo il sisma (neanche 4mila, prima erano 9-10mila). Una popolazione che cioè porti nell’economia cittadina fra i 20 ed i 30 milioni di euro all’anno. Questa è la risorsa “centrale” che lo studio individua, anche se non si nasconde la difficoltà dell’impresa. Ma questa popolazione, aggiunta a quella degli immigrati che arriveranno per lavorare nella ricostruzione, potrebbe anche risolvere il problema dell’utilizzo di un patrimonio edilizio che, fatte le nuove case, rischia di diventare un gigantesco rudere.

Il Rapporto, ispirato da un gruppo di lavoro Ocse-Università di Groningen, è molto attento nel linguaggio, usa molti giri di parole, è scritto in modo accettabile per una città impaurita, ma non nasconde il rischio che L’Aquila, dopo la carta della ricostruzione, non abbia altre carte da giocare.

Franco Gabrielli l’ha sparata grossa con la sua battuta politicamente scorretta. Gli aquilani, a cominciare dal sindaco Massimo Cialente e dall’assessore Stefania Pezzopane, l’hanno presa male, e non poteva essere diversamente. Ma i problemi de L’Aquila, purtroppo, sono antichi e il Rapporto di Barca è molto chiaro.