Venerdì, ovvero sciopero. Quel fastidioso sospetto del week end lungo

di Emiliano Condò
Pubblicato il 5 Maggio 2011 - 15:32 OLTRE 6 MESI FA

Sciopero trasporti (foto LaPresse)

ROMA – L’espressione è abusata ma non mancherà di fare titolo. Il sei maggio, giorno dello sciopero generale, si fermeranno anche treni, autobus e metro. Tutti coloro che allo sciopero non vorranno o non potranno aderire si ingegneranno altrimenti e i risultato saranno città intasate e strade impercorribili, almeno nelle grandi città. Sui giornali, si accettano scommesse, tutto questo verrà riassunto in due parole: venerdì nero.

Non che il titolo non sia corretto, anzi. Ha tutto: rende l’idea, ha sintesi e impatto. Il punto è un altro. Qualcuno ha mai letto, fuori dalle pagine economiche, di un martedì o un giovedì nero? La risposta è no.  A meno che non ci si riferisca, ma non è il nostro oggetto, a crolli in borsa o disfatte delle squadre italiane nelle coppe europee.

Il venerdì nero suggerisce altro, qualcosa che a scriversi è un po’ fastidioso perché sottile è il confine tra la riflessione e la provocazione. Venerdì è già sinonimo di festa religiosa per i musulmani, “magro” per i cristiani, pesce per chi fa la spesa nei mercatini e ha tempo e voglia di curare la tavola di casa. Ora sta diventando sinonimo di sciopero, almeno per i trasporti. Non è raro imbattersi in persone che, ogni giovedì, cercano in rete o sui giornali la risposta ad una loro preoccupazione: ci sarà domani il treno o il bus che mi porta al lavoro? E di conseguenza: quante ore prima dovrò uscire per sperare di arrivare in tempo?

Sia chiaro: non è assolutamente in discussione né la liceità ne l’utilità dello strumento sciopero. Da anni si discute di forme di proteste alternative: dibattito arido e sterile perché le proteste “accomodate” senza disturbo per la collettività non sono tali. Non si sta neppure entrando nel merito delle rivendicazioni che immaginiamo assolutamente legittime e magari persino compatibili col momento economico che vive il Paese. Un contratto di lavoro è un diritto, protestare se non lo si ha un dovere. Domani, poi, è sciopero generale, il più sacrosanto dei diritti.

La domanda, antipatica ma pertinente, è: perché sempre e solo di venerdì? Chiunque, anche se in partenza ben disposto verso le ragioni di chi sciopera, un dubbio se lo pone. Non è che c’entra anche quel week end che grazie allo sciopero si dilata spesso di un giorno in più? Per carità, giornata non pagata. Ma se devo proprio perderla magari la attacco ad un ponte.

Le argomentazioni pro venerdì non mancano: la vicinanza del week end, si può immaginare, rende più facile la partecipazioni a manifestazioni di protesta fuori dalla propria città. Tutto vero, ma il sospetto resta. Se non altro perché il venerdì ricorre in modo sistematico ed esclude ogni tipo di coincidenza.

Solo negli ultimi mesi (e l’elenco è certamente incompleto per difetto) autobus e metro si sono fermati il primo aprile , il 14 dello stesso mese (linea A della metropolitana a Roma e treni). Prima ancora il blocco dei trasporti era stato l’11 marzo, in coincidenza con lo sciopero genearale. Nel 2010, a marzo e giugno, gli scioperi generali della Cgil erano arrivati il 25 giugno e prima ancora il 12 marzo. Adesso arriva il 6 maggio. Sei date che hanno in comune una cosa: il venerdì.

I sindacati non ce ne vogliano: ben vengano, se legittimi gli scioperi, ma si diversifichi la scelta del giorno. Si evita il sospetto del week end lungo e si creano disagi (ma un po’ meno) ai cittadini che agli spostamenti non possono rinunciare.

Un esempio molto chiaro ci viene dalla Gran Bretagna. Anche là i dipendenti della metro di Londra sono in agitazione. La questione non è di contratto ma di posti di lavoro. L’ente che gestisce i trasporti ha licenziato due persone, decisione scorretta secondo chi i lavoratori difende, ovvero i sindacati locali. La risposta anche là è lo sciopero. Diversa la formula: sei giorni in un mese, spalmati su diversi turni, dal lunedì al venerdì. Nove ore il lunedì, 24 il martedì, 12 il giovedì e così via. Lotta durissima e per un obiettivo preciso con disagi anche maggiori per la collettività. Lotta fatta senza guardare il calendario, negli interessi dei lavoratori. E, soprattutto, al di sopra di ogni sospetto.