Palestina e informazione, per un uomo bianco occidentale ferito o morto ce ne vogliono 300 di colore diverso

di Vincenzo Vita
Pubblicato il 23 Maggio 2021 - 19:02 OLTRE 6 MESI FA
Palestina e informazione, per un uomo bianco occidentale ferito o morto ce ne vogliono 300 di colore diverso

Palestina e informazione, per un uomo bianco occidentale ferito o morto ce ne vogliono 300 di colore diverso

Palestina, l’informazione langue, avverte Vincenzo Vita in questo articolo pubblicato anche sul Manifesto. Non solo i media classici troncano e sopiscono, come novelli conte zio. L’universo dei social si sta adeguando. Numerosi utenti di Facebook o di Instagram hanno denunciato la
cancellazione di contenuti e account riferiti alle violenza dei coloni e dell’esercito a Sheikh Jarrah, o
alla pubblicazione di foto sull’uccisione del giovane Said

Luisa Morgantini, presidente di Assopace Palestina, lotta per l’affermazione dei diritti dei palestinesi.
Ha denunciato proprio a il manifesto (eccezione alla regola, con Avvenire) il silenzio
dell’informazione.

Un silenzio pesante perché su di un capitolo cruciale della terza guerra mondiale diffusa di cui parla
spesso il Papa di Roma Francesco. E, è il caso di dire, a dispetto dei santi.

Infatti, malgrado le ripetute risoluzioni delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, continua
imperterrita la politica di oppressione e di apartheid messa in atto dal governo di Tel Aviv. Tanto più
oggi, quando il declino di Netanyahu ha ulteriormente messo in moto forze reazionarie e
fondamentaliste, guidate da un vero e proprio odio antiarabo.

Da ultimo, l’iniziativa di sgombero delle famiglie palestinesi ad opera dei coloni a Sheikh Jarrah e
l’irruzione nella moschea di al-Aqsa hanno definitivamente terremotato la situazione.

Ecco, solo nelle ultime ore i media mainstream se ne sono accorti, dopo l’incredibile silenzio
dei giorni passati. Già. Vecchia regola dei manuali di comunicazione.

Per fare la stessa notizia di un uomo bianco occidentale ferito o morto ci vogliono trecento morti o
feriti se sono di pelle o carnagione diversi. Almeno venti vittime e decine di colpiti dall’aviazione
israeliana a Gaza dopo i raid di razzi verso Israele, che si uniscono ai settecento dei giorni scorsi a
Gerusalemme Est.

Ora, di fronte al conflitto in corso, tacere diventa impossibile. Tuttavia, le lunghe e colpevoli
omissioni pesano anche nei rari momenti di informazione. Pressapochismo, spesso evidente
ignoranza o faziosità pregiudiziale sono la dominante.

Non è una mera patologia, purtroppo. Se così fosse, magari basterebbe una cura della malattia. In
verità, si tratta di una normale e fisiologica caratteristica dei media italiani, con poche trasgressioni
dell’ordine costituito.

Quest’ultimo si basa su due assiomi: la sudditanza alle linee degli Stati Uniti e il buon rapporto con
l’ambasciata israeliana. Fino all’avvento di Bergoglio si aggiungeva il Vaticano, ma ora lassù tira
un’aria diversa (peraltro assai osteggiata all’interno, com’è noto).

Senza nulla togliere, ovviamente, alla difesa del popolo ebraico. In questione è l’accondiscendenza
acritica nei riguardi di un governo. Che se la batte con Orban e Bolsonaro a chi è più repressivo ed
autoritario in giro per il mondo. Insomma, i silenzi giustamente denunciati da Luisa Morgantini sono
una linea di condotta, uno stile più che consolidato.

Per fare un esempio dell’informazione sulla Palestina

Nel mese di aprile solo dieci titoli dei telegiornali (pubblici e privati) sono stati dedicati allo scacchiere geopolitico. Ma alla tragedia del Monte Meron, alle vaccinazioni e al cyberattacco all’Iran.
Non alla vicenda palestinese e alla dialettica con Israele. Di cui, forse, non si vuole far sapere, per
non alterare lo status quo mediale, suscitando i temuti sentimenti di sdegno e di riprovazione.

Non solo i media classici troncano e sopiscono, come novelli conte zio. L’universo dei social si sta
adeguando. Numerosi utenti di Facebook o di Instagram hanno denunciato la cancellazione di
contenuti e account. Riferiti alle violenza dei coloni e dell’esercito a Sheikh Jarrah. O alla
pubblicazione di foto sull’uccisione del giovane Said. Ad opera in questo caso di Alberto Negri, tra i
maggiori conoscitori profondi della materia. E di Antonella Napoli, coraggiosa cronista di Articolo21.

Con che criteri intervengono gli Over The top, giudici severi a giorni alterni, vista la proliferazione
costante di messaggi d’odio o di fake news?

Le Nazioni Unite hanno fatto sentire una flebile voce, richiamando Israele. Poco o nulla si spiega,
però, nella narrazione giornalistica prevalente sui motivi reali, storici, di ciò che accade.

Non siamo di fronte a generici disordini, bensì al tentativo sfacciato di annessione di ciò che rimane
della Palestina e all’oppressione dei suoi abitanti. Tutto ciò avviene in violazione di risoluzioni e atti
formali delle istituzioni mondiali ed europee.

La commissione parlamentare di vigilanza e l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni
dovrebbero discuterne. Con urgenza. Il pluralismo va tutelato e non riguarda unicamente i partiti.