Crisi governo, Monti getta la spugna. Sistema Italia verso il fallimento

di Vito Laterza
Pubblicato il 10 Dicembre 2012 - 10:00| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Mario Monti

ROMA – Soltanto una settimana fa il premier Mario Monti annunciava trionfante la discesa dello spread sotto i 300 punti, a dimostrazione della riuscita del suo governo. Bersani, invece, dopo uno scontato ballottaggio alle primarie, parlava già da premier, con stile rassicurante e serio, quasi da statista.

Poi è arrivato il botto, e questa volta l’ha sentito anche il Presidente Napolitano. Si apre la crisi di governo. Ma come? Monti così sicuro di sé, Bersani e il centrosinistra già pronti al governo del Paese, cosa mai sarà successo in così pochi giorni?

Una crisi che, vista al di fuori dei confini nazionali, sembra assurda e anche ridicola. In quale governo serio, in quale Paese serio si sarebbero chiusi i battenti due mesi prima della data prestabilita? La BBC parla di elezioni da tenersi “un po’ prima” del previsto, facendo trapelare lo sconcerto degli osservatori internazionali: ecco “i soliti italiani”.

Mentre Monti, Bersani, Casini, Fini e compagni puntano il dito contro il diavolo Berlusconi, gli allarmi di Standard & Poor’s sul dopo-Monti e il titolo sottilmente ironico della BBC – “Monti pianifica le dimissioni” – indicano una crisi più profonda, quella di un intero sistema. Il sottinteso è che Monti e Bersani, Vendola e Casini, Fini e Berlusconi, sono tutti co-responsabili della situazione attuale. Fanno parte dello stesso sistema che si sbriciola in poche ore, dopo una pretestuosa rivolta del Pdl per qualche dichiarazione inappropriata di un ministro, peraltro tutt’altro che “comunista”.

In verità, Berlusconi e l’attuale crisi di governo sono soltanto dei sintomi del fallimento, non la causa. Il berlusconismo e l’anti-berlusconismo continuano a farla da protagonisti sui media e nella retorica politichese soltanto per oscurare il fatto che, dopo un anno di governo Monti, non siamo andati molto avanti. Il sistema è rimasto così com’era: fragile, corrotto, allo sfascio, ormai caratterizzato da comportamenti patologici e nocivi per la maggior parte degli italiani e per il futuro dell’intero Paese.

Il governo Monti ha fatto pochissimo: una riforma delle pensioni incisiva e bipartisan, che però ha lasciato tanti traumi causati da errori di calcolo che andavano evitati; una riforma del lavoro che non semplifica il quadro normativo a favore di un mercato più efficiente e trasparente, né risolve il problema fondamentale della differenza sproporzionata di diritti tra precari e chi ha il posto fisso; liberalizzazioni a parole; una legge anti-corruzione che lascia tutti i corrotti e i corruttori già condannati al posto loro, comodi, pronti a ricandidarsi.

I montiani continuano a ripetere come un mantra che è passato poco tempo, che non ci si può aspettare delle riforme strutturali in un anno. Ma sappiamo tutti che certe riforme o si fanno e in fretta, oppure non si faranno mai. Nel momento in cui Monti inizia a parlare il linguaggio dei soliti noti – stiamo lavorando, dobbiamo limare, pensiamo al futuro – ci ritroviamo di nuovo nella melma dell’immobilismo italiano in cui si parla tanto ma si fa pochissimo.

Questo governo ha avuto la sua legittimazione in un’agenda caratterizzata da riforme di lungo respiro, slegate da interessi di breve termine, che avrebbero costretto i partiti a pensare e preparare le successive elezioni. Monti, con le sue ambiguità sul futuro, con le sue riforme “all’italiana”, perde molta della sua credibilità, diventando un altro attore della tragicommedia della politica italiana.

I partiti, dal canto loro, hanno fatto ancora meno. Nonostante i proclami anche qui molto “rassicuranti” di Napolitano, che aveva promesso più volte agli italiani che non avrebbe sciolto le Camere in mancanza della riforma della legge elettorale, quel “porcellum” che lascia la scelta degli squadroni di parlamentari nelle mani dei capi di partito. Anche in questo caso solo parole in libera uscita.

La riduzione dei costi della politica è diventata una leggina di facciata finalizzata ad un piccolo ritocco degli scandalosi “rimborsi elettorali”. Per il resto, il nulla, soltanto pagine e pagine di cronache parlamentari sui tanti possibili scenari di riforme e riformine, come se si trattasse più di discussioni filosofiche sull’esistenza di Dio, che di azioni necessarie per garantire la tenuta di un intero Paese.

Irrompe sulla scena Berlusconi ed ecco che, con un tocco di bacchetta magica, le discussioni si interrompono, gli annunci trionfali si esauriscono, le fantasie sulle squadre ministeriali si dissolvono. Tutti, così, si rendono conto che poco è cambiato rispetto ad un anno fa. Eppure, qualcosa è cambiato, peggiorando ulteriormente la nostra situazione: i mercati ci guardano, i tecnocrati di Bruxelles ci tengono sotto stretta osservazione, la libertà d’azione per riforme coraggiose in tempi di austerity imposta dagli equilibri internazionali è limitatissima. Ci troviamo insomma ad un passo dalla Grecia, lontani anni luce dalla stabilità sistemica della Gran Bretagna e della Germania.

Di colpo apprendiamo che, dopo aver assorbito la sapiente retorica dei tecnici e le frasi “responsabili” della sinistra storica che continua – a parole – a sacrificarsi per il bene comune, i compiti a casa non li ha fatti nessuno. Si ripresenta, così, il diavolo Berlusconi, lo specchio del nostro inconscio, la follia che abbiamo coltivato per decenni e che comodamente additiamo come colpevole. Ma Berlusconi non l’avevamo mandato a casa? Monti non doveva essere più credibile, serio, concreto?

A pochissimi mesi dalle elezioni – e badate bene, anche senza una crisi formale, il tempo di fatto sarebbe stato lo stesso – ci ritroviamo invece con equilibri politici poco chiari che nemmeno gli addetti ai lavori sanno decrittare. Il Pd fa le primarie con Vendola, e consolida l’alleanza con un “democristiano” di sinistra che molto moderatamente un giorno è contro Monti e l’altro si allea con Bersani “pro-Monti”. Lo spettro di un’alleanza con l’Udc – lo chiamano “patto” – rappresenta il piano B per il dopo-elezioni, senza contorni precisi, senza una strategia chiara.

I moderati di centro e centro-destra che si distanziano da Berlusconi non hanno ancora trovato la misura. Le sigle prolificano, i nomi proposti per tante liste variegate si sprecano, ma non sappiamo chi si presenta con chi. A destra invece si ripropone lo spauracchio di una possibile alleanza di Berlusconi “anti-politico” con la Lega, che cavalcherebbe il dissenso anti-Europa e anti-tecnocratico, ormai dilagante.

Grillo, per ora unico trionfatore certo, la sua scommessa l’ha vinta. Come da lui preconizzato, questi partiti non hanno fatto nulla di rilevante per dimostrare la necessità della loro esistenza alla maggior parte degli italiani. Comunque vada, per il Movimento 5 Stelle sarà un successo.

In questo scenario, la presenza nello sfondo di Monti e dei tecnici come “salvatori della patria” si fa sempre più ingombrante. Con l’attuale legge elettorale e il caos degli equilibri in campo, non è più così improbabile uno scenario greco, dove l’alleanza Pd-Sel potrebbe non bastare ad assicurare un supporto parlamentare stabile al prossimo governo, soprattutto al Senato dove i premi di maggioranza si assegnano su base regionale.

Difficile essere ottimisti. Le sole pressioni verso un cambiamento vero sono tutte esterne al sistema della democrazia rappresentativa, con tutti i pericoli che ne derivano: le forti preoccupazioni sui mercati finanziari che potrebbero scatenare una crisi del debito in Italia e in Europa; l’egemonia tecnocratica del “nuovo ordine europeo” che spinge con misure draconiane verso tagli sostanziali e rischiosi della spesa pubblica; le spinte anti-partitiche, anti-austerity, anti-europeiste e spesso populiste, da destra e da sinistra, che operano al di fuori del sistema, e immaginano scenari considerati fino a pochi anni fa “fantascientifici”.

Berlusconi si dimostra ancora una volta “avanti”: percepisce i cambiamenti molto prima dei suoi colleghi partitocrati. Il suo Pdl sarà anche dimezzato, ma chi se l’aspettava una tenuta del genere? Ha capito che nel magma in continua evoluzione del caos anti-sistema c’è posto anche per lui.

Un Monti sempre più “italianizzato” agli occhi degli osservatori internazionali potrebbe iniziare a perdere quella credibilità che lo ha contraddistinto fino ad ora. Per Bersani, invece, si prospetta una vittoria di Pirro, che gli potrebbe procurare una difficile e rischiosa azione di governo.

 

Vito Laterza ha completato il dottorato in Antropologia Sociale all’Università di Cambridge ed è attualmente Research Fellow alla University of the West of England. All’estero dal 2000, segue le vicende italiane “a distanza”, in un’ottica geopolitica globale. Si occupa principalmente di questioni politiche, economiche e socio-culturali in Africa e in Occidente.