Fine crisi? La psicologia dice sì, l’economia no

di Warsamè Dini Casali
Pubblicato il 31 Luglio 2013 - 12:53 OLTRE 6 MESI FA
Fine crisi? La psicologia dice sì, l'economia no

Fine crisi? La psicologia dice sì, l’economia no

ROMA – In Europa sale la percezione che la crisi stia arrivando finalmente al capolinea: la novità è un’Italia che si incarica di guidare il fronte della fiducia nella ripresa.  A luglio è migliorato ancora, per il terzo mese consecutivo, l’indicatore Esi del sentiment economico europeo (+1,2%, leggi qui il documento statistico della Commissione europea)) con quello italiano addirittura al + 2,9%. L’indicatore misura le aspettative di aziende e consumatori: i manager intervistati hanno mediamente valutato positivamente le prospettive della produzione. Si tratta di una indicazione importante che imbriglia statisticamente un cambio di direzione del mood generale economico. Basta questo “sentiment” per dichiarare chiusa la perdurante fase congiunturale, insomma è lecito essere ottimisti?

Prima di passare in rassegna i dati economici, quelli certi, in grado di suffragare o confutare questa percezione, meglio togliersi subito il dente del pessimismo meno incline a credere all’aleatorietà di una fiducia mal riposta: per Jürgen Stark, ex capo economista della Bce e “nemico” intellettuale a tempo pieno di Mario Draghi, non ci sono dubbi, l’Italia è irriformabile e in autunno deflagrerà quella crisi solo rimandata dagli interventi della Bce. In un’intervista al quotidiano Handesblatt (riportata oggi dal Corriere della Sera), il “falco” tedesco ribadisce la sua contrarietà ai massicci acquisti di debiti nazionali in sofferenza decisi a Francoforte da Mario Draghi e si fa profeta di sventura per i paesi del sud come Italia, Portogallo, Spagna  e Grecia e mettendo sulla lista nera dei paesi a rischio collasso anche la potente ma fragile Francia di Monsieur Hollande. Italia e Spagna saranno costrette a chiedere il salvataggio europeo, anche la Francia si avvia verso lo stesso destino e darà battaglia in Europa perché le pesanti condizioni subordinate al bail out non vengano imposte.

«Draghi — dice — ha comprato tempo ai governi europei, che però non l’hanno sfruttato». Si riferisce alla celebre frase («la Bce farà tutto quel che è necessario per salvare l’euro, e credetemi basterà»), pronunciata appunto un anno fa dal presidente della Bce a Londra, che da sola ha placato la tempesta finanziaria che minacciava l’Italia. Ebbene, Stark crede che la «dichiarazione di Londra» non basti più, anzi che abbia nuociuto, allentando la pressione sui Paesi indebitati. Risultato: Portogallo, Grecia, Italia non si sono riformate, ma hanno invece riposto le speranze in Draghi. «La consapevolezza della crisi in Italia non è diffusa», dice, le riforme languono «più o meno da vent’anni». Stark è anche convinto che i mercati metteranno presto alla prova la volontà di Draghi di agire, testando il suo piano per l’acquisto di bond (Omt). Ma proprio qui sta il punto: il programma pone forti condizionalità politiche ai Paesi soccorsi (l’impegno alle riforme, vincoli e controlli esterni) e vista la grande riluttanza dei governi ad accettarle, Stark teme dopo le elezioni tedesche del 22 settembre l’esplosione delle tensioni tra le capitali europee. (Intervista a Jürgen Stark di Mara Gergolet sul Corriere della Sera)

Fin qui siamo sulla linea dura sposata da Angela Merkel e solo attenuata da una certa accondiscendenza nei confronti dell’azione della Bce (e per questo Starck se ne andò). Tornando al sentiment, le aspettative sono buone per tutti i settori tranne le costruzioni. Va però aggiunto, come fa Rossella Bucciarelli sul Sole 24 Ore, che

questo rasserenamento di clima nelle attese di chi produce e consuma, non soloper quel che riguarda l’Italia è solo una risalita da un punto minimo (i dati Eurostat relativi al primo trimestre del 2013 mostrano una flessione nel tasso di investimento, che si è portato al 18,8%, contro il 19,5% registrato nell’ultimo trimestre del 2012).

Sempre i tedeschi, in questo caso l’autorevole Frankfurter Allgemeine Zeitung, sono più che scettici: “Il Paese ha ingranato la marcia indietro” ha titolato bocciando senza appello il governo Letta. In effetti la disoccupazione è continuata a salire e continuerà a farlo (le attese delle imprese sono sui livelli di fine 2009). Il credito latita e la liquidità scarseggia visto che un’impresa su quattro si attende risorse insufficienti nel III trimestre. Anche il Centro studi Confindustria menziona disoccupazione credit crunch nell’ultimo rapporto congiuntura flash, però segnala (anche sulla scorta dei dati Ocse) “la prossimità di una svolta del ciclo economico anche nel nostro paese, che dovrebbe materializzarsi al più tardi in autunno per dar luogo a una fase di recupero vero e proprio già nel 2013” (Sole 24 Ore, Rossella Bocciarelli). Del resto, acnhe il fronte tedesco non è così granitico come sembra: è significativa un documento sottoscritto da 100 economisti di cui 40 tedeschi, di pieno sostegno al piano Omt di Mario Draghi: limitare i poteri della Bce, si legge nel testo, sarebbe “un invito agli speculatori”.

Possiamo concludere, visto che siamo nel campo degli auspici riguardo a cosa succederà dopo l’estate, che la caduta produttiva inizia a decelerare e il quarto trimestre potrebbe essere in crescita. Sicuro che se la ripresa sarà intercettata, in prima fila ci sarà la Lombardia, la locomotiva italiana: ad arginare la crisi ci pensano le grandi imprese e una produzione in crescita dopo sei trimestri consecutivi in rosso mentre in ripresa sono anche fatturato e commesse estere.

Un’ultima nota storica sul “sentiment”, categoria economica tutt’altro che contemporanea. Su La Stampa, nella pagina dedicata all’archivio digitale di 50 anni, un articolo di Ferdinando di Fenizio del 31 luglio 1963  (“Le previsioni degli operatori sulla congiuntura economica”) si concludeva in questo modo, a proposito della maggior severità nella politica monetaria per contenere lo spettro di allora l’inflazione e di una percezione meno negativa sull’aumento dei prezzi (e che sembra tagliato apposta per la Bce alle prese con l’incubo dei nostri giorni, lo spread):

Ne traggano conforto le autorità monetarie: mutare le previsioni collettive costituisce il primo passo verso la stabilizzazione della moneta. Se l’andamento osservato si mantiene, potremo dire di aver superato un importante punto di svolta.