Stamina. Morte di Sophia e “Stato assassino”: Vannoni chi lo ferma più?

di Warsamè Dini Casali
Pubblicato il 5 Giugno 2013 - 18:59 OLTRE 6 MESI FA
Stamina. Il limite delle cure compassionevoli, lo Stato crede alla scienza o a Vannoni?

Stamina. Morte di Sophia e “Stato assassino”: Vannoni chi lo ferma più?

ROMA – Stamina. Morte di Sophia e “Stato assassino”: Vannoni chi lo ferma più? Con la morte della piccola Sophia all’ospedale di Brescia si riapre la questione del ricorso a tecniche e terapie alternative per la cura di malattie degenerative. Davide Vannoni, titolare della Stamina Foundation e eletto a furor di popolo salvatore di ultima istanza grazie non a protocolli scientifici certi e sperimentati ma a un tam tam mediatico di rara intensità (da Celentano alle Iene fino alla moltiplicazione degli appelli sui social network) coglie l’occasione per accusare ospedali, medici e Stato.

Il fatto è che è morta la bambina che aveva vinto il ricorso favorevole a Vannoni e alla sua cura basata su cellule staminali mesenchimali. Vannoni riferisce testualmente che la famiglia farà causa agli “Spedali Civili di Brescia e il ministero della Salute perché si profila l’omicidio volontario”. Dunque medici e istituzioni tutti assassini. E, per fortuna, Vannoni ha premesso che non vuole strumentalizzare la morte della piccola, sul cui decesso, al momento, l’unica causa certa è una fatale crisi respiratoria.

E che la bambina avrebbe dovuto proseguire il trattamento contro l’atrofia muscolare spinale (Sma 1) con la tecnica di Vannoni avendo vinto il ricorso che la autorizzava alle cure staminali. Oggi lo scienziato Vannoni si sente in diritto di dire che l’ha ammazzata lo Stato che le ha negato un diritto acquisito. Acquisito come? Attraverso la vittoria della compassione (mediaticamente più allettante dei noiosi protocolli sanitari) sulla scienza. Sì, la scienza, il metodo scientifico, unica ratio per imporre cure e farmaci in ambito pubblico, cioè con il visto dello Stato.

Che, agendo da medico pietoso, ha preferito farsi guidare dall’emotività piuttosto che da criteri rigorosi finendo per autorizzare ciò che non andava autorizzato. A meno che conti più un servizio delle Iene o un appello di Celentano rispetto al parere di giuristi e scienziati, per i quali contano le prove empiriche, i risultati sperimentali. E’ compassionevole utilizzare cellule staminali  mesenchimali per trattamenti di quasi ogni genere di malattia?

Perché il premio Nobel Shinya Yamanaka, inventore delle staminali pluripotenti indotte, massimo esperto al mondo in materia, ha sentito l’obbligo di  dichiarare che le staminali mesenchimali sono un vero e proprio imbroglio? Perché tredici esperti di fama internazionale hanno scritto al ministro della Salute Balduzzi, preoccupati della conseguenze che la vicenda staminali può avere per cittadini e ricerca scientifica? Perché l’Aifa (agenzia che controlla la sicurezza dei trattamenti medici) si è detta preoccupata per “trattamenti basati sulle cellule staminali non sperimentati in modo adeguato siano immessi sul mercato”?

Quando l’autorizzazione del ministro Balduzzi è giunta alle orecchie della redazione di Nature, la risposta è stata laconica: sdegno e orrore nella comunità scientifica internazionale. Con un surplus di ambiguità e cerchiobottismo. Cosa voleva dire il ministro Balduzzi quando sosteneva che “l’Italia non ha autorizzato alcuna terapia non provata a base di staminali ma solo la prosecuzione dell’uso del metodo Stamina in via eccezionale”? A proposito della catena di comando invertita e di diritti acquisiti  dove il giudice si sostituisce allo scienziato e il ministro allo stregone è bene riflettere su cosa scrivevano i saggi convocati apposta per deliberare sulla questione:

“Scegliere per sé una terapia impropria, o anche solo immaginaria, rientra tra i diritti dell’individuo. Non rientra tra i diritti dell’individuo decidere quali terapie debbano essere autorizzate dal Governo, e messe in essere nelle strutture pubbliche o private. Non rientra tra i compiti del Governo assicurare che ogni scelta individuale sia tradotta in scelte terapeutiche e misure organizzative delle strutture sanitarie. Non sono le campagne mediatiche lo strumento in base al quale adottare decisioni di carattere medico e sanitario. Il diritto del singolo a curarsi con l’olio di serpente, se così reputa opportuno, non implica la preparazione dell’olio di serpente nella farmacia di un ospedale, né la sua autorizzazione da parte del Governo”.