Greenpeace blocca piattaforma della Shell in partenza per l’Artico

Pubblicato il 24 Febbraio 2012 - 17:10 OLTRE 6 MESI FA

TARANKI (NUOVA ZELANDA) – Un gruppo di attivisti di Greenpeace è entrato in azione nel porto di Taranki in Nuova Zelanda, ed ha impedito la partenza di una piattaforma petrolifera della Shell diretta in Alaska dove sono in programma attività di ricerca di idrocarburi che minaccerebbero l’ecosistema marino e le coste.

La Noble Discoverer, che si apprestava a viaggiare per seimila miglia marine verso il mar di Chukchi, è stata bloccata dagli attivisti di Greenpeace. Con loro, anche Lucy Lawless, Xena la principessa guerriera delle serie tv, che insieme agli attivisti è salita sulla nave e ha scalato la torre di trivellazione equipaggiata per resistere a oltranza.

“Siamo entrati in azione per fermare la Shell e impedirle di perforare in Artico, dove uno sversamento di petrolio, impossibile da contenere, distruggerebbe un ecosistema fragilissimo – afferma Nathan Argent di Greenpeace Nuova Zelanda – La Shell deve lasciare la Noble Discoverer in porto; altrimenti l’Alaska rischierebbe una catastrofe peggiore di quella della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico”.

 La Shell è la prima grande compagnia petrolifera a fare delle esplorazioni in Artico la sua principale strategia industriale. Se la Noble Discoverer dovesse trovare del petrolio, altri colossi petroliferi accelererebbero i loro piani multimiliardari di trivellazione in quei mari, dando il via a una sfrenata corsa all’oro nero del Polo Nord.

Pochi giorni fa il Bureau of Safety and Environmental Enforcement americano ha approvato i piani d’emergenza della Shell in caso di sversamento di petrolio nelle acque artiche. Quei piani prevedono tecniche e modalità d’intervento che la stessa Shell ammette non essere mai state testate, se non il laboratorio o su carta.

“Compagnie coma la Shell approfittano dello sciogliersi dei ghiacci artici, causato dall’effetto serra, per sfruttare quelle fonti fossili che sono all’origine del caos climatico globale” – ricorda Andrea Boraschi, responsabile campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.

Temperature eccezionalmente rigide, condizioni meteorologiche estreme e la distanza da siti da cui potrebbero partire aiuti e supporto logistico, fanno delle esplorazioni in Artico una sfida senza precedenti. Senza contare che un incidente con perdita di greggio si rivelerebbe un danno impossibile da arginare e ripulire. Stando a un alto funzionario di una compagnia canadese specializzata in interventi di bonifica in caso di sversamento petrolifero, “a oggi non esiste soluzione o metodo capace di recuperare petrolio sversato nell’Artico”.

Le riserve stimate in Artico sarebbero sufficienti a soddisfare solo tre anni degli attuali consumi globali di petrolio, mentre numerosi studi dimostrano come maggiori investimenti in efficienza ed energia pulita farebbero venir meno ogni necessità di estrazione di greggio a quelle latitudini.

“La stessa Shell ha da tempo progetti di ricerca nel canale di Sicilia. Un disastro nel Mediterraneo avrebbe conseguenze devastanti tanto da un punto di vista ambientale quanto economico, con impatti incalcolabili sulla pesca e sul turismo” – conclude Boraschi.

Le foto del blitz di Greenpeace: