La Venere ottentotta: il caso di Caster Semenya e il razzismo dell’800 in salsa 2000

Pubblicato il 17 Gennaio 2010 - 22:51| Aggiornato il 18 Gennaio 2010 OLTRE 6 MESI FA

Resta ancora avvolta nelle nebbie dell’alta politica sportiva mondiale il caso di Caster Semenya, l’atleta sudafricana diciottenne che l’estate scorsa ai mondiali di atletica di Berlino vinse il titolo negli 800 metri e che è ancora nel limbo degli esami che devono accertare la sua appartenenza sessuale: è una donna? È un uomo? È un ermafrodito? Ponderano i soloni. Può continuare a correre con le donne? È l’interrogativo che angoscia molti in Sud Africa e soprattutto lei, questa timida ragazza nera mandata allo sbaraglio dai suoi stessi connazionali.

A proposito di Caster Semenya c’è anche chi riesuma, come parallela vicenda di razzismo, la storia di Saartjie Bartman, nota come la Venere ottentotta in Europa, dove fu portata, come un trofeo, nel 1810, all’età di 21 anni, e dove morì, in Francia, cinque anni dopo, prostituta e alcolizzata. Era stata esibita davanti a schiere di pittori, naturalisti e presumibilmente maniaci travestiti da scienziati, tutti attratti dal suo sedere fuori ordinanza e da labbra vaginali eccezionalmente grande e protese. Il suo scheletro e i suoi genitali furono conservati fino al 1974 al Museo dell’uomo di Parigi.

Questa gallery mostra una serie di foto di Caster Semenya, in senso antiorario partendo da destra: il giorno del suo trionfo a Berlino; vestita elegante, da donna, sulla copertina della rivista sudafricana You; in un’altra immagine del servizio di You. E mostra anche un disegno dell’altra donna sudafricana il cui nome viene accostato, non per ragioni sportive ma di razza e razzismo, a quello di Caster: Saatjie Bartman. E infine una foto contemporanea, della bellissima etiope Angel Lola Luv, nome d’arte di Angel Fershgenet, che secondo un blog potrebbe essere una incarnazione moderna della Venere ottentotta.