Sesso fra prof e allieve: reato sì, peccato mortale no. E fa più male la gogna

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Settembre 2013 - 13:32| Aggiornato il 26 Febbraio 2015 OLTRE 6 MESI FA
Sesso fra prof e allieve: reato sì, peccato mortale no. E fa più male la gogna

Sesso fra prof e allieve: reato sì, peccato mortale no. E fa più male la gogna

ROMA – A una studentessa minorenne fa più male il sesso con il proprio professore o l’isteria mediatica che si scatena intorno a casi come quello di Valter Giordano, il professore di Saluzzo? È questo il ragionamento che fa sul Corriere della Sera Elena Tebano, riprendendo un editoriale della scrittrice (e avvocatessa) Betsy Karasik sul Washington Post.

La Karasik ripercorre la vicenda processuale di un professore del Montana, 49 anni, condannato a 15 anni di reclusione – dei quali dovrà scontare in carcere solo 31 giorni – per aver avuto rapporti sessuali con una sua allieva di 14 anni. La ragazza due anni dopo si è suicidata e la sentenza ha sollevato una tempesta di polemiche negli Stati Uniti.

Stessa cosa sta succedendo in Italia con il caso del professore di Saluzzo: un suicidio di mezzo, un’attenzione morbosa dei media, un’intrusione ossessiva nella privacy dell’insegnante e delle sue alunne, con gli sms pubblicati e un vortice di pettegolezzi. Karasik e Tebano si chiedono se non sia proprio la gogna mediatica alla quale le ragazze vengono esposte a determinare poi scelte suicide o comunque a danneggiarne irreparabilmente la vita.

Se sia, insomma, l’etichetta di “ragazzine stuprate dal professore orco” a far più male alle studentesse minorenni dell’atto sessuale in sé. Secondo la Karasik, c’è, nell’isterica richiesta di condanne esemplari per gli insegnanti sorpresi ad avere relazioni sessuali con le proprie allieve, il bisogno della società di dimostrare a se stessa di essere in grado di proteggere le proprie figlie. Un bisogno che prevale sulla protezione effettiva delle alunne adolescenti, che invece finiscono per essere esposte alla gogna mediatica.

Si criminalizza il sesso fra insegnanti e studenti, lo si bolla come peccato mortale, ma l’attenzione morbosa che c’è su questi casi dimostra che certe situazioni sono familiari a gran parte dell’opinione pubblica, e non basteranno pene esemplari e lo stigma di peccato mortale per eliminarle dalle nostre vite. La Karasik scrive che la società si racconta una grande menzogna: quella che gli adolescenti non facciano sesso.

E qui viene il punto più controverso dell’editoriale della Karasik, quando sostiene che il sesso fra un adulto e un minorenne non va equiparato automaticamente allo stupro: ci sono studentesse che hanno meno di 18 anni ma sono già sessualmente mature, e metterle sullo stesso piano delle bambine è da ipocriti. Sono in grado di scegliere e il reato – quello di un insegnante che finisce a letto con un’adolescente – va rivalutato. In ogni caso la Karasik aveva premesso che il professore sorpreso a fare sesso con un’allieva va immediatamente rimosso. Ma dopo la giustizia deve puntare alla sua riabilitazione, e non alla sua punizione esemplare.

La Tebano su questo punto dissente – aiutata dalle differenze fra la più garantista giurisprudenza italiana e quella americana – e si concentra sulla condotta dell’adulto, più che sulla presunta maturità del minore:

Il punto, infatti, non è il desiderio degli adolescenti nei confronti di figure carismatiche – c’è sempre stato e ci sarà sempre: a chiunque sia passato per una scuola sarà capitato di fare da testimone alla cotta adolescenziale di un allieva/o per il suo o la sua insegnante. Il punto è la responsabilità degli adulti: chi ha un compito educativo non può permettersi di superare quei confini con minorenni rispetto a cui deve avere tutt’altro ruolo. E infatti la legge vieta proprio questo: il professore di Saluzzo non è indagato per stupro, ma per atti sessuali con minorenni «con abuso di autorità». In Italia il sesso consensuale con un/una minore è reato solo se tra quest’ultimo e il maggiorenne c’è una differenza di età superiore ai tre anni, o se l’adulto riveste un ruolo «ascendente» nei suoi confronti: è parente, tutore, o «un’altra persona a cui per ragione di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato» – come appunto un insegnante.

Mettiamo che la studentessa in questione sia appena maggiorenne: il docente che avesse una relazione con lei non sarebbe penalmente perseguibile, ma verrebbe comunque meno al suo compito educativo fondamentale. Inutile a quel punto citare a memoria Dante (il discorso vale anche per le relazioni tra insegnanti donne e allievi maschi, che un pregiudizio sociale fortissimo e l’immaginario da film di serie B anni ’70 porta a guardare spesso con un certo compiacimento). Un insegnante che, qualunque sia il motivo, manchi così catastroficamente al suo ruolo non dovrebbe più mettere piede in una scuola, al di là delle conseguenze penali”.