Simone Borgese confessa stupro tassista. L’eterno alibi-scusa del raptus

di Redazione Blitz
Pubblicato il 11 Maggio 2015 - 11:46 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Quando sono andati a prenderlo a casa dei nonni ha prima cercato di negare, di dire che lui con quello stupro a una tassista romana di 43 anni non c’entrava nulla. Poi è stato riconosciuto dalla vittima e ha deciso di confessare. Ma cosa ha detto Simone Borgese, 30 anni, romano, ai magistrati. Ha detto che è stato un raptus, una pulsione folle di un momento. Avrebbe detto che lui neppure voleva prenderlo il taxi.

Uno legge raptus. E lo legge non solo questa volta ma ogni qual volta ci sia confessione di una violenza di qualche tipo. Il raptus, ancora una volta, è l’eterno alibi-scusa. Un modo per dire “sì sono stato io” ma allo stesso tempo “non ero proprio io”. Un confessare cercando di deresponsabilizzarsi, di farsi uno sconto.

Ci sono alcuni “problemi”. Per esempio ci sono diversi, tra psicologi e psichiatri che spiegano che il raptus semplicemente non esiste. Non almeno come lo intendono tanti tra quelli che lo invocano a scusante dopo aver violentato e ucciso. Parlò di raptus, solo per fare un esempio, Samuele Caruso, l’uomo che nel 2012 uccise a coltellate la sua compagna. Raptus, ovvero, una cosa istantanea, non programmata. Solo che Caruso quel coltello con cui uccise Carmela Petrucci se lo era portato da casa. Aveva almeno messo in preventivo la possibilità di usarlo.

Sul raptus, insomma, vale la pena di ricordar cosa ha detto lo psichiatra  Vincenzo Maria Mastronardi a Valentina Arcovio de La Stampa. Si parlava di madri che uccidono i figli, e si parlava di raptus. Spiegazione che non spiega.

“La madre che uccide perché impazzisce da un momento all’altro non esiste. L’omicidio può essere estemporaneo, ma è un atto estremo a cui si arriva con un’involuzione lenta”. “Involuzione lenta”. Altro che raptus. E che forma ha questo lento tracciato che porta una mamma a uccidere?