Brexit, il casino sovranista: a maggio britannici votano o no per la Ue?

Brexit
Brexit, la bandiera simbolo (foto d’archivio Ansa)

LONDRA – Brexit, il casino sovranista. Un gran casino: due anni e mezzo fa la proposta al paese e all’elettorato di uscire dalla Ue senza sapere come fare ad uscire se il referendum avesse detto Sì all’uscita come poi è stato. E due anni e mezzo senza sapere come gestire quel voto, senza sapere come uscire senza farsi male, tanto economicamente male. Voler uscire dalla Ue e non sapere come farlo gratis, dopo aver raccontato che sarebbe stato non solo gratis ma anche guadagno. Non avere idee e coraggio per andare avanti e neanche per ornare indietro. Eccolo il casino sovranista.

Che ora raggiunge il suo culmine: qualunque cosa vogliano o facciano in Gran Bretagna hanno bisogno di tempo per farlo. Ma a fine marzo è Brexit, tempo non ce n’è. Se chiedono proroga della permanenza in Europa oltre fino marzo, proroga che seve sia per elezioni anticipate britanniche o nuova trattativa con la Ue o secondo referendum, in ogni caso c’è di mezzo il maggio delle elezioni europee. Se a maggio la Gran Bretagna è ancora nella Ue i britannici votano o no alle elezioni europee? Se votano che si fa, votano e poi escono? E la Ue ha ovviamente già previsto un Parlamento europeo senza rappresentanti britannici. Se non votano e poi invece restano? Un casino, un casino sovranista che ingrossa.

Le elezioni europee e il gran casino sovranista. Una definizione non elegantissima ma perfettamente esplicativa del nuovo, ennesimo, capitolo Brexit aperto dalla bocciatura dell’accordo da parte della Camera dei Comuni. Dopo lo stop alla mediazione faticosamente portata avanti dal governo May con l’Europa ora, per Londra, restano sul tavolo diverse opzioni possibili: nuovo accordo, nessun accordo, elezioni anticipate o nuovo referendum.

Tutte però dagli esiti incerti e tutte, soprattutto, con la pesante spada di Damocle sulla testa delle prossime elezioni europee in programma a maggio di quest’anno. “Secondo diritto, i britannici, se dovesse esserci il rinvio della Brexit, dovrebbero poter votare, perché sono parte integrante in Ue, finché non escono. Hanno diritto a loro rappresentanti al Parlamento europeo” ha detto il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani mentre, il leader dei Liberali Alde al Parlamento Ue, Guy Verhofstatd, ha detto che “è impensabile che l’articolo 50 sia prolungato oltre la data delle elezioni europee”.

Posizioni contrapposte che danno la misura di quanto il problema-elezioni, sinora sostanzialmente ignorato, sia in realtà enorme. E spiegare il perché è tutto sommato molto semplice. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea è stata fissata, dopo l’ormai famosa vittoria del ‘leave’, per la fine del prossimo marzo, prima delle elezioni europee che sono in calendario a maggio. Scelta fatta per ragioni di logica e buon senso visto che non avrebbe avuto senso alcuno far votare gli inglesi per un Parlamento già abbandonato. E infatti, non senza qualche polemica, la ricca fetta di seggi riservata alla Gran Bretagna era ed è già stata ripartita tra i paesi membri.

Questa era quel che si definisce una road map chiara, logica. Ieri però è arrivata la bocciatura, peraltro attesa, dell’accordo e sul tavolo è tornata l’ipotesi di un rinvio. Lo spauracchio di tutti è il cosiddetto ‘no-deal’, cioè l’uscita di Londra senza nessun accordo, ma qualsiasi altra soluzione dovrà fare i conti con le prossime elezioni. La prima prova, il primo bivio sarà oggi con il voto di fiducia al governo May. Tutti si aspettano che la fiducia passi ma, se così non dovesse essere, oltremanica si andrebbe ad elezioni anticipate e ad occuparsi della Brexit dovrebbe essere il prossimo governo. Servirebbe quindi tempo, e alle elezioni europee che accadrebbe? Gli inglesi parteciperebbero o no?

Oppure, se con la fiducia in tasca la May avesse mandato per fare una nuova trattativa, con tutte le difficoltà del caso visto e considerato che l’Ue ha già più volte detto come ulteriori concessioni non sono possibili, anche per questa servirebbe tempo e l’interrogativo rimarrebbe: alle elezioni europee che accadrebbe? Gli inglesi parteciperebbero o no? O ancora, se come alcuni chiedono si decidesse di ridare la parola agli elettori e si organizzasse un referndum-bis sull’appartenenza o meno della Gran Bretagna all’Ue, anche in questo caso il calendario presenterebbe il conto delle elezioni di maggio. Gli inglesi parteciperebbero o no?

Referendum-bis, elezioni inglesi e nuovo accordo sono infatti tutte strade considerate oggi possibili, ma lunghe da realizzare e dall’esito incerto. Dalle urne inglesi potrebbe uscire un vittoria del ‘remain’ o un Parlamento pro-Europa, ma anche il contrario come un nuovo accordo potrebbe trovarsi come no. E allora che fare a maggio? Come dice Tajani se a quella data l’articolo 50 non fosse stato attivato e se Londra fosse quindi giuridicamente ancora parte dell’Unione, avrebbe diritto ad eleggere i suoi rappresentanti a Bruxelles e Strasburgo. Ma una cosa è il diritto e un’altra il buon senso. Quale senso democratico ed istituzionale avrebbe la partecipazione al voto di una Gran Bretagna uscente? Ma, d’altra parte, seppur priva di senso come negare, eventualmente, la suddetta partecipazione ad un popolo che ne avrebbe diritto legale?

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