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Chiesa cattolica: il dibattito sul celibato e gli “strappi alla regola”

di fmontorsi |14 Aprile 2010 10:12

« Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una vola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, etc. ». Su questa frase, tratta dalla prima lettere dell’apostolo Paolo a Timoteo, tanto si è detto e scritto. L’hanno citata spesso tutti coloro che, nella storia, hanno criticato il celibato che la chiesa cattolica impone ai membri del suo clero. In effetti, se Paolo si raccomandava che i vescovi non si sposassero che una sola volta, cosa dobbiamo dedurne? Logicamente, che in molti casi, nella Chiesa delle origini – modello e ispirazione per la comunità dei fedeli – i pastori delle anime avevano una sposa. Nel migliore dei casi. Nel migliore, perché nel peggiore ne avevano due o più.

Il dibattito sul celibato sacerdotale si riaccende ciclicamente in seno alla Chiesa. Oggi, il tema è però come non mai d’attualità anche all’interno della società civile. La scoperta di dolorose e criminali vicende in cui sono coinvolti prelati dei più vari livelli, e il complice silenzio di una parte della gerarchia cattolica, hanno avuto come effetto non voluto di riaprire un dibattito che sembrava interessare solo qualche teologo e qualche giornalista di stanza al Vaticano. Giornali del prestigio del tedesco Der Spiegel e del New York Times stanno contribuendo da settimana ad animare una campagna d’opinione su questo tema.

Recentemente, il quotidiano americano ha pubblicato un reportage sul reverendo Yuriy Volovetskij, un uomo che riunisce in sé due caratteristiche a prima vista inconciliabili, quella di essere un prete cattolico e quella di avere moglie e figli. Il reverendo Volovetskiys appartiene alla Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, una chiesa di rito orientale che mantiene la comunione con la Chiesa di Roma (riconosce, cioè, il primato del papa, oltre ai dogmi fondamentali del cattolicesimo). Ma la sua condotta, i suoi riti e un certo numero di prescrizioni, la fanno senz’altro situare nel bacino delle Chiese Orientali. La Chiesa in cui serve il reverendo non ritiene infatti che i preti dbbano per forza essere celibi.

Tra ragazzi e bambini sono in sei i piccoli Volovetskiy che scalciano per le stanze di casa, dalla più grande Pavlina, 21 anni, al più piccolo Taras di nove. In mezzo, c’è Roman, 16 anni, che vuole diventare prete, proprio come suo padre. L’adolescente Irina, 13 anni, mette in piedi per i giornalisti un concerto improvvisato, con lo strumento nazionale, la bandura. E così la casa del reverendo diventa la rumorosa testimonianza di un diverso modo di intendere il sacerdozio, un modo che la Chiesa Cattolica ritiene ufficialmente estraneo al suo spirito e che tuttavia tollera e accetta in questo pezzo di Oriente.

« E’ importante che un prete non abbia solo una comprensione di se stesso – dice padre Volovetskij – Avere una famiglia permette al prete di avere una comprensione più profonda su come relazionarsi con gli altri ed aiutare le altre persone. Per un prete è più naturale, più sensato, avere moglie e bambini ».

La testimonianza che ci offre il New York Times rivela una vecchia verità: la Chiesa Cattolica adotta, in numerose sue pratiche, degli atteggiamenti più tolleranti di quanto non faccia nelle dichiarazioni ufficiali e nei suoi propositi di rinnovamento. In fondo, lo abbiamo visto più volte. Preti cattolici con moglie e figli si sono visti e rivisti nella storia, da San Paolo fino almeno al Concilio di Trento. E, in realtà, se ne vedono ancora oggi. Certo non a Roma.

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