Atene: casse vuote, farmaci finiti, 150mila da licenziare. Ma l’euro respira

Pubblicato il 18 Giugno 2012 - 09:51 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Eureka, giubilo, Atene resta nell’euro lo vuole il popolo che ha votato. Anche la nazionale di calcio è rimasta attaccata eroicamente all’euro del pallone e adesso ha l’occasione unica per mandarci i tedeschi a casa nei prossimi ottavi di finale di venerdì. Grande iniezione di fiducia, quindi, ma il voto, in attesa della formazione del nuovo governo, non sposta di un millimetro la drammaticità della situazione economica. Gli impegni assunti sono una montagna da scalare, mentre si sta raschiando il fondo del barile di una cassa pubblica praticamente vuota.

Il voto, di fatto, fa tirare un sospiro di sollievo soprattutto a Italia e Spagna anche se incertezza e volatilità sui mercati restano. Atene è tagliata fuori dal mercato dei finanziamenti, se una soluzione per garantire la governabilità tardasse anche di poco i titoli pubblici di Roma e Madrid sarebbero di nuovo obiettivi sensibili. E anche il bund tedesco se, come annunciato dal ministro degli esteri Westerwelle, Berlino accettasse una linea più morbida con la Grecia, una specie di deroga dal rigore fin qui imposto.

Grecia. Il paese versa in condizioni economiche disastrose. Solo 2 miliardi nelle casse dello Stato, evasione fiscale al 20%, 150 mila tra piccole e medie imprese fallite: entro luglio deve tagliare altri 16 miliardi dalla spesa pubblica, sono gli impegni assunti con la trojka. Parliamo della promessa, mai mantenuta da nessun esecutivo, di licenziare 150 mila dipendenti statali in esubero. Ogni giorno, specie con i condizionatori a pieno regime, c’è un rischio di black out, nel momento topico dell’arrivo dei turisti: i russi di Gazprom stanno chiudendo i rubinetti in attesa di essere pagati, l’unico che faceva credito era Teheran ma Atene ha dovuto per forza partecipare all’embargo. I farmacisti d’ora in poi pretendono sempre il pagamento, sono stanchi di aspettare i 600 milioni che lo Stato gli deve: stop erogazione gratuita, crollo delle vendite, le multinazionali hanno ridotto le forniture.

Proverà Atene a a rinegoziare quegli impegni ma non al prezzo di far slittare la nascita di un nuovo governo, perché quello sarebbe il segnale per i mercati che nulla cambierà. Rapidamente potrebbe convincere i leader europei riuniti al vertice di fine giugno che la pillola è troppo amara, che la cura ammazza il malato. Cioè 130 miliardi di euro in aiuti al prezzo di pesanti riforme strutturali, taglio del deficit pubblico e ritorno all’avanzo primario nel 2015. Il nuovo esecutivo deve ricapitalizzare per 48 miliardi di euro le banche ma deve anche decidere se il Tesoro avrà azioni con diritto di voto e non più semplici azioni privilegiate come preferito dalla troika. Il piano delle privatizzazioni non è ancora partito, da lì ci si aspetta di incassare 50 miliardi.

Italia. Il voto favorevole all’euro, la prospettiva di un governo subito ad Atene, concede quella tregua e , si spera, quell’inversione di tendenza, sul debito sovrano. A livello politico e istituzionale il paese gode di buona credibilità, a differenza degli altri Piigs (Madrid, Atene, Dublino, Lisbona) non ha mai chiesto aiuti o è ricorso a salvataggi. Senza il pericolo di contagio greco si abbasserà la spesa per interessi sul debito e proseguirà l’opera di consolidamento delle finanze pubbliche. Riforma delle pensioni, riduzione del debito, l’Italia sta facendo i compiti.

Spagna. Se Atene fosse sprofondata nel caos dell’ingovernabilità Madrid sarebbe stata travolta. Tuttavia, a differenza dell’Italia, i cento miliardi di aiuti europei per sostenere le banche in crisi, suscitano più paure che sollievo: il circolo vizioso banche/credito non è stato allentato, anzi. Ora c’è l’aggravante, per gli investitori, che in caso di default i creditori privati si mettono in fila dietro i prestatori istituzionali. Con i prestiti il debito pubblico spagnolo è cresciuto ancora. Il rischio è che dopo il sostegno alle banche gli tocchi l’amministrazione controllata e cioè lo stesso destino di Atene, controllata a vista dagli “uomini in nero” della trojka (Bce, Fmi, Commissione Ue).