Europa in crisi, la Turchia ora non vuole più entrare

Pubblicato il 14 Dicembre 2011 - 00:14 OLTRE 6 MESI FA

ISTANBUL – Alla fine dell’Ottocento l’impero ottomano era descritto nei resoconti come il malato d’Europa. Oggi, più di un secolo dopo, è l’Europa ad essere il malato del mondo e la Turchia, erede di quel grande impero fatiscente, gode di un’ottima e invidiabile salute. E non guarda più all’Europa come a un mito da ammirare.

Spinta da un’economia galoppante (con una crescita intorno al 7,5%) e da un’influenza sempre più grande nella regione, Istanbul non ha complessi di inferiorità rispetto ai partner occidentali. Al punto che l’integrazione del paese euroasiatico all’Unione Europea, un tempo cavallo di battaglia dei partiti turchi, oggi è agli stessi turchi che non sembra più un così buon affare.

Quando il primo ministro Recep Tayyip Erdogan cominciò il suo primo mandato nel 2002 l’entrata della Turchia nell’Unione Europea era la priorità della sua agenda politica. Leader di un movimento di ispirazione religiosa, Erdogan voleva essere il politico islamista moderno che avrebbe definitivamente legato il destino di Istanbul a quello dell’Europa. L’entusiasmo e il volontarismo turco, condiviso dai politici come dalla popolazione, fu all’epoca accolto con un profondo ed umiliante scetticismo da parte dell’Europa.

Sulla scorta di una diffidenza anti-islamica diffusa nella popolazione, alcuni dei principali leader politici, tra cui Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, emisero severe riserve sulla fattibilità stessa del processo d’integrazione. Risultato: dal 2005 le negoziazioni si trascinano a stento senza una seria prospettiva di una svolta.