Film e “repulisti”: gli ex comunisti fanno i conti col proprio passato

Pubblicato il 2 Marzo 2012 - 06:41 OLTRE 6 MESI FA

VARSAVIA – Il passato comunista non è più un tabù in Polonia: quasi un milione di polacchi è andato al cinema a vedere “Giovedì nero”, un film che racconta un episodio sulle proteste del dicembre 1970, quando l’esercito polacco sparò sugli operai che dimostravano a Gdynia e in altre città della costa baltica, facendo centinaia di feriti e una di quarantina morti. Il successo del film non era affatto scontato.

Il regista, Antoni Krauze, accarezzava da anni il progetto ma era stato ostacolato dapprima dalla censura comunista, in seguito, dopo la caduta del muro di Berlino, dall’apatia di fronte ad un tema che non interessava o che “disturbava” troppo. Oggi, solo pochi anni dopo, alla sua uscita nelle sale, quel film, a molti, è sembrato addirittura un’esigenza della società.

Già quando ha cominciato a girarlo nel 2010, Krauze è stato sorpreso dall’accoglienza riservatagli: responsabili politici locali che gli venivano incontro con permessi facilitati, uomini di affari che facevano sconti sulle locazioni di materiale. Ci sono stati perfino dei volontari per spalare la neve dal set durante i giorni di cattivo tempo.

Quando, a febbraio scorso, si è svolta la prima del film, tra le fila del cinema si trovavano il Primo ministro e il Presidente della Camera, come pure la vedova di una delle vittime del massacro del 1970. «E’ una storia – commenta il regista – che la gente voleva che fosse raccontata».

A cambiare, rispetto alla metà degli anni novanta, quando il progetto del film era accolto male, è stato l’atteggiamento dei polacchi, e più in generale dei paesi dell’ex blocco sovietico, verso il recente passato. Dopo la caduta del muro di Berlino, la fine dell’imperialismo sovietico, il fallimento dell’economia pianificata, i paesi del patto di Varsavia hanno fatto una scelta.

La strada verso quel futuro che conduceva all’economia di mercato e all’alleanza atlantica era incerta e accidentata e si è deciso, senz’altro inconsciamente, che il passato, oscuro e carico di scomode responsabilità, era meglio dimenticarlo per andare avanti. E’ successo così che una parte del lavoro della memoria è stato, all’epoca, rinviato. Inevitabilmente, quando una nuova generazione che non ha mai conosciuto il socialismo è cresciuta, i giorni di quel confronto per anni rimandato sono arrivati.

Sono numerosi gli esempi di questo nuovo attivismo della memoria. Una corte in Polonia, nel gennaio 2011, ha dichiarato colpevoli i dirigenti comunisti responsabili della legge marziale del dicembre 1981. Una delle prime misure annunciate da Rosen Plevneliev, presidente della Bulgaria dal gennaio 2012, è il licenziamento di tutti i diplomatici che durante il regime comunista sono stati agenti dei servizi segreti.

La Macedonia, per anni stato federale della Jugoslavia, ha inaugurato un’aggressiva campagna, recentemente bloccata dalla corte costituzionale, di ricerca degli ex collaboratori durante gli anni del maresciallo Tito. La recentissima nuova costituzione ungherese, approvate tra le critiche, ha dichiarato invalida la precedente costituzione, votata dai comunisti nel 1949 ma profondamente modificata nel 1989, in quanto è stata le «fondamenta di un regime tirannico».

Anche in Germania il nuovo spirito si è fatto sentire, con la nomina a presidente della Repubblica federale di Joachim Gauck, pastore protestante e attivista per i diritti umani nella Germania dell’Est negli anni fatidici che portarono al crollo del muro.