Gran Bretagna, fuga dalla Ue? L’eurofobia dilagante e lo scacco di Cameron

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Gennaio 2013 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA
Nigel Farage, il leader anti-europeista dell’Ukip, partito di destra inglese (Ap-LaPresse)

LONDRA – La destra britannica sta mettendo in difficoltà il premier David Cameron. Il partito per l’Indipendenza del Regno Unito (Ukip) vuole portare il Paese fuori dall’Unione Europea e fa il pieno di consensi nei sondaggi, come mai era accaduto prima.

Il leader dell’Ukip Nigel Farage è il tipo di politico che sembra avere bisogno di un nemico per dare il meglio. Lo ha trovato nell’Europa (lui, eurodeputato). Da mesi le sue proposte radicalmente anti-europee hanno messo il governo conservatore sulla difensiva – e questo ha rapidamente aumentato la popolarità del suo partito tra gli elettori. Gli ultimi sondaggi danno l’Ukip al 15 per cento: sarebbe la terza forza politica, dietro i tories e i laburisti, ma davanti ai liberal-democratici.

Il sistema elettorale britannico rende difficile la vita dei piccoli partiti alle elezioni, e una vittoria dell’Ukip appare improbabile, ma per ora bastano i sondaggi a turbare le notti di Cameron e del suo staff a Downing Street.

Per Cameron il momento è già complicato dalle pressioni interne che sta subendo nel suo partito, da quei parlamentari che vorrebbero una presa di posizione chiara sull’Europa.

Circa un terzo dei parlamentari conservatori vorrebbe che la Gran Bretagna uscisse dall’Europa, e lo stesso Cameron la vede come un opzione praticabile. Il Primo ministro ha fatto sapere che entro gennaio chiarirà cosa intende fare.

Un primo assaggio delle sue intenzioni l’ha offerto in un’intervista alla Bbc: “Anche se uscire dalla Ue non sarebbe la scelta migliore per la Gran Bretagna, il Paese ha tutto il diritto di ridiscutere il suo rapporto con Bruxelles, alla luce dei cambiamenti che l’Unione Europea sta imprimendo alla natura della sua organizzazione”.

Secondo Cameron, in cambio di una maggiore integrazione europea, alla Gran Bretagna dovrebbero essere restituiti alcuni poteri. Il premier suggerisce una revisione degli accordi in materia di immigrazione. Vuole controlli più rigorosi per chi entra, per limitare la possibilità “che la gente venga a vivere in Gran Bretagna, reclamando benefici”. Cameron vuole poi sbarazzarsi della direttiva europea sull’orario di lavoro, che “non avrebbe mai dovuto essere introdotta”.

La posta in gioco è alta e Cameron, dopo aver esitato a lungo per paura di perdere consensi, non può permettersi di sbagliare. Intanto l’Ukip e i conservatori anti-euro dominano il dibattito pubblico.

L’esitazione di Cameron è anche il motivo per il quale i britannici stanno perdendo quasi tutto il loro peso politico in Europa. Con sempre maggiore riluttanza, a ogni summit Cameron si presenta a Bruxelles, dove gli altri capi di Stato sperano che l’inglese non minacci di porre un ennesimo veto nel tentativo di guadagnare in trasferta quei punti che gli servono in casa, per tenere a bada il fronte anti-europeo. Un fronte vasto che lo tiene in scacco, anche perché Cameron sa che alla fine la Gran Bretagna non può uscire dall’Unione europea: sarebbe un danno enorme per la sua economia, con conseguenze politiche inimmaginabili.

Un danno eventuale che non calma la marea montante di eurofobia che imperversa oltre Manica: circa metà dei britannici voterebbe sì all’uscita dall’Euro.