Grecia, 5 cose da sapere in attesa del referendum di domenica

di Redazione Blitz
Pubblicato il 4 Luglio 2015 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA
Grecia, 5 cose da sapere in attesa del referendum di domenica

(Foto Ap)

ATENE – Rischia di essere il default più grande di tutti i tempi, con un’esplosione dell’euro con conseguenze per tutta l’Europa. Ma la crisi della Grecia parte da lontano. Ecco i cinque fatti da conoscere per capire la portata del referendum di domenica, che potrebbe decretare il fallimento del negoziato, o riportare i negoziatori sul tavolo della trattativa con un atteggiamento di maggiore disponibilità.

I PROTAGONISTI – Il governo greco, un’inedita alleanza destra-sinistra con l’idea comune di dar guerra agli assetti attuali europei, fronteggia una ‘coalizione dei creditori’ variegata e a volte in disaccordo. C’è la troika, poi ridenominata per volere di Atene ‘istituzioni’, che riunisce Commissione Ue, Bce e Fmi, quest’ultimo sempre più insofferente delle propria partecipazione ed esplicitamente a favore di un taglio del debito, insostenibile visto il peggioramento dei conti di Atene. Ci sono i partner Ue dell’Eurozona: un rapporto sempre difficile, ma minato dal crollo verticale di fiducia nello scontro degli ultimi mesi. Angela Merkel, dominus nella trattativa, ha isolato politicamente il premier greco Alexis Tsipras e ottenuto che anche i più rumorosi nemici dell’austerity si stringessero attorno a Berlino.

L’ANTEFATTO – I greci votano sull’ultima offerta dei creditori, che ha spinto Atene a lasciare il tavolo negoziale, la Ue a chiudere la trattativa, con il mancato pagamento di 1,6 miliardi al Fmi come primo risultato concreto. Di fatto, vengono al pettine molti nodi accumulati nei mesi e negli anni. Quello della Grecia, un Paese iper-indebitato, da sempre riottoso alle richieste dei creditori, ma anche provato da un crollo del 25% del Pil, un programma di austerity che ha portato il debito prossimo al 180%, una deflazione tuttora galoppante. E dei creditori, stufi di dover gestire una situazione assillante quando altri Paesi in salvataggio – Irlanda, Portogallo, Spagna – tutto sommato se la sono cavata.

L’OGGETTO DEL CONTENDERE – Privatizzazioni, tagli alle pensioni, riforma del lavoro. Ma al centro dello scontro c’è il debito: che Tsipras vorrebbe, come promesso ai suoi elettori, venisse tagliato (nuovamente, dopo l’operazione del 2012). Per i creditori, in particolare la Germania, al massimo c’è in ballo un nuovo taglio dei tassi e allungamento delle scadenze, ma non dell’ammontare. Tsipras, ottenuto il voto a larga maggioranza a gennaio, ha fatto da innesco per lo scontro.

I TEMPI – Il referendum voluto da Tsipras ha accelerato gli eventi, attirando su di sé, nelle narrazioni delle due parti negoziali, quasi il significato di una ‘redde rationem’, di un momento decisivo: sì all’euro, no all’euro. Potrebbe non essere così. Il negoziato potrebbe benissimo proseguire, sulla base di quello che sarà il voto. Di certo si sa che la Grecia affronta le sue scadenze chiave poco più in la. Il 20 luglio deve 3,5 miliardi alla Bce, ad agosto scadono altri 3,2 miliardi. Un’insolvenza verso Francoforte – inevitabile senza un accordo, a meno di soluzioni d’ingegneria finanziaria dell’ultimo momento – potrebbe danneggiare gravemente la liquidità alle banche e precipitare gli eventi. In ogni caso, i creditori sanno benissimo che con le banche chiuse si avvicina sempre più il momento in cui il governo non potrà pagare stipendi e pensioni, salvo ricorrere ai ‘pagherò’ o a una valuta parallela. Non durerà molto.

I RISCHI –  La Grecia si gioca questa volta un default vero e proprio, non un default ‘controllato’ come in passato. E quindi, con una certa probabilità, anche l’appartenenza all’euro, visto che senza sostegno esterno non è chiaro con che moneta potrebbe far funzionare la sua economia e sostenere le sue banche. Diversi economisti sostengono che alla lunga sarebbe un bene per la sua economia, anche se non è chiaro cosa migliorerebbe a parte una spinta al (poco) export greco con una svalutazione di almeno il 30%.

Di certo, c’è una durissima recessione che, già in atto, già nel migliore scenario, quello di una ripresa del negoziato, viene stimata in altri due anni. Ma la Grecia non è l’unica a rischiare. L’Europa si è dotata di ampi strumenti per contenere il contagio: è visibile dagli spread tutto sommato contenuti di Italia o Spagna. Ciò non vuol dire che l’Europa sia in grado di permettersi la ‘Grexit’. Perché segnerebbe un precedente per alcuni tragico: che l’euro è reversibile. Che i Paesi sotto pressione, sia per errori interni che per le bolle create dagli squilibri macroeconomici fra Paesi creditori e debitori al suo interno, possono uscire. Tutti guarderebbero a chi è il prossimo in lista dopo la Grecia: e lo sguardo va ai Paesi ad alto debito.