L’Italia prepara la battaglia sul crocifisso: il 30 giugno ricorso perché rimanga a scuola

Pubblicato il 27 Giugno 2010 - 14:52 OLTRE 6 MESI FA

E’ legittima l’esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane o e’ in contrasto con i principi costituzionali di liberta’ di religione e di laicita’ dello Stato? Alla Corte europea per i diritti dell’uomo, che con sentenza del 3 novembre 2009 – esaminando un caso avvenuto ad Abano Terme (Padova) – ha detto no a quel simbolo nelle aule, l’Italia replica con fermezza ed si prepara a dar battaglia il 30 giugno quando la ‘Grande Chambre’ (Grande Camera) di Strasburgo esaminera’ il ricorso per l’annullamento di quella decisione.

Il crocifisso – sostiene l’Italia – non va assolutamente rimosso dalle aule scolastiche perche’ ha una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni. Il crocifisso esposto a scuola, cosi’ come in altri luoghi pubblici, secondo il governo italiano, non e’ solo – come hanno sottolineato piu’ volte i giudici amministrativi – un oggetto di culto, ma un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento di valori civili – tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, solidarieta’ umana, rifiuto di ogni discriminazione – che hanno un’origine religiosa, ma che sono anche i valori che delineano la laicita’ nell’attuale ordinamento dello Stato.

Se questo e’ il punto fondamentale della posizione italiana, ribadito di recente anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano e dal premier Silvio Berlusconi, l’Italia proporra’ alla Grande Camera altri motivi – illustrati di recente in Senato dal prof. Carlo Cardia, docente di diritto ecclesiastico all’Universita’ Roma 3 – per dire che quella sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo che vieta l’esposizione del Crocifisso a scuola e’sbagliata e va riformata.

Tre argomenti su tutti. Il primo: l’Italia dice no ad un’Europa che vuol far sbiadire i segni identificativi della propria identita’, espressi anche nel segno della croce. Il secondo: il crocifisso in Italia non e’ il frutto di un principio confessionista, ma e’ stato posto nelle scuole dai liberali dell’epoca risorgimentale e della sua unificazione, mai e’ stato tolto e mai e’ stato oggetto di contrattazione con la Chiesa, tanto forte e’ il suo significato religioso, culturale e popolare. Il terzo: il principio supremo di laicita’ dello Stato italiano propone una ”laicita’ positiva” che implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni (come, ad esempio, in Francia), ma ”la serena accoglienza” di tutte le fedi, le ideologie, i simboli.

In questo contesto – sosterra’ l’Italia davanti al giudice internazionale, facendo proprie le valutazioni del prof. Cardia – ignorando del tutto le trasformazioni multiculturali della societa’ italiana, ”la sentenza ha mancato di valutare come, ormai, negli spazi pubblici, compresa la scuola, simboli e pratiche religiose si vanno diffondendo anno dopo anno, e che in Italia in particolare essi sono accettati con spirito liberale, di apertura culturale e di dialogo interreligioso. E chiunque comprende che voler togliere il crocifisso dalle scuole proprio mentre queste si colorano dei simboli e delle pratiche di altre religioni porterebbe ad un risultato surreale, per il quale chi entra in una scuola di questo tipo (con il velo, il ramadan, la preghiera islamica, altri vestimenti particolari di religioni orientali) non capirebbe nemmeno che si trova in Italia”.

In definitiva – sara’ la posizione dell’Italia davanti alla Grande Camera – rispetto ad una societa’ italiana sempre piu’ multietnica, l’assenza del crocifisso dallo spazio pubblico finirebbe con l’avere un duplice disvalore: per gli italiani, che sarebbero privati di un segno identificativo della loro identita’ (a prescindere dalle scelte religiose individuali); per gli stranieri, ai quali non sarebbe offerto quell’elementare messaggio di accoglienza e di non discriminazione che e’ impresso nel simbolo della croce.

Come è cominciata la storia. La vicenda relativa all’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche – sulla quale oggi la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha deciso di rimettere la decisione finale alla Grande Camera – risale al 2002 ed ha avuto un lungo iter giudiziario. Il 27 maggio 2002 il Consiglio di Istituto della scuola Vittorino da Feltre di Abano Terme (Padova) respinge il ricorso della famiglia di due alunne e decide che possono essere lasciati esposti negli ambienti scolastici i simboli religiosi, ed in particolare il crocifisso, unico simbolo esposto.

Ricorso. La decisione del Consiglio di Istituto viene impugnata dalla madre delle due alunne davanti al Tar per il Veneto. Nel ricorso si sostiene che la decisione del Consiglio di Istituto sarebbe stata presa in violazione del principio di laicita’ dello Stato, che impedirebbe l’esposizione del crocifisso e di altri simboli religiosi nelle aule scolastiche, perche’ violerebbe la ”parita’ che deve essere garantita a tutte le religioni e a tutte le credenze, anche a-religiose”. Il Ministero dell’Istruzione, costituitosi nel giudizio, sottolinea che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e’ prevista da disposizioni regolamentari contenute in due regi decreti: uno del 1924, n. 965; l’altro del 1928, n. 1297 Tali norme, per quanto lontane nel tempo, sarebbero tuttora in vigore, come confermato dal parere reso dal Consiglio di Stato (n. 63/88).

Il Tar: atti alla Consulta. Il Tar compie un approfondito esame delle norme regolamentari sull’esposizione del crocifisso a scuola e conclude che esse sono tuttora in vigore. Estende, tuttavia, l’esame alla valutazione di altri profili della vicenda e rimette gli atti alla Corte costituzionale. La norma che prescrive l’obbligo di esposizione del crocifisso – scrivono i giudici – sembra delineare ”una disciplina di favore per la religione cristiana, rispetto alle altre confessioni, attribuendole una posizione di privilegio”, che apparirebbe in contrasto con il principio di laicita’ dello Stato.

Corte costituzionale: ricorso inammissiblie. La consulta dichiara inammissibile il ricorso: le norme sull’esposizione del crocifisso a scuola sono ”norme regolamentari”, prive ”di forza di legge” e su di esse ”non puo’ essere invocato un sindacato di legittimita’ costituzionale, ne’, conseguentemente, un intervento interpretativo” della Corte. Gli atti tornano al Tar per la decisione sul ricorso.

Tar: crocifisso non contrasta con laicità. Il crocifisso, ”inteso come simbolo di una particolare storia, cultura ed identita’ nazionale (…), oltre che espressione di alcuni principi laici della comunita’ (…), puo’ essere legittimamente collocato nelle aule della scuola pubblica, in quanto non solo non contrastante ma addirittura affermativo e confermativo del principio della laicita’ dello Stato repubblicano”. Si conclude con queste parole la sentenza (n. 1110 del 22 marzo 2005) con la quale il Tar rigetta il ricorso della madre della due alunne di Abano Terme.

Consiglio di Stato: crocifisso ha funzione educativa. Il Consiglio di Stato chiude la parte italiana della vicenda, con il rigetto definitivo del ricorso della madre delle due alunne. Il crocifisso – scrivono i giudici – non va rimosso dalle aule scolastiche perche’ ha ”una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni”; non e’ ne’ una ”suppellettile”, ne’ solo ”un oggetto di culto”, ma un simbolo ”idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili” – tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, riguardo alla sua liberta’, autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorita’, solidarieta’ umana, rifiuto di ogni discriminazione – che hanno un’origine religiosa, ma ”che sono poi i valori che delineano la laicita’ nell’attuale ordinamento dello Stato”.

Corte Europea boccia l’Italia, poi rimette la decisione alla Grande Camera. Il 3 novembre 2009 la corte europea per i diritti dell’uomo boccia l’Italia: il crocifisso appeso nelle aule scolastiche e’ una violazione della liberta’ dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della liberta’ di religione degli alunni. Il governo italiano ricorre e la corte europea decide di affidare la soluzione del caso alla Grande Camera, che esaminera’ la vicenda il 30 giugno ed emettera’ il verdetto.