ROMA – Il padre (Batska, paparino così lo chiamano in Patria), Aleksandr Lukashenko, è stato appena rieletto presidente della Bielorussia con l’81% dei suffragi, percentuali bulgare si sarebbe detto negli anni della Cortina di ferro. Da 21 anni guida quella che è considerata l’ultima dittatura superstite in Europa. L’esito del voto, applaudito subito dall’amico Putin, è quindi una non notizia. Più gustosa, per i palati forti, il racconto delle gesta del piccolo Lukashenko, rampollo undicenne designato, a dispetto dei due fratelli più grandi (uno guida i servizi nonostante il padre lo giudichi irrimediabilmente debole, l’altro gli affari di famiglia).
Nicolaj, chiamato affettuosamente Kolya, undici anni, è il terzo figlio, nato dall’ultima moglie, l’ex dottoressa personale Irina. A quanto filtra – le poche informazioni consentite sono state raccolte da Fabrizio Dragosei del Corriere della Sera – già a sette anni prometteva bene, nel senso di un certo caratterino. Per esempio durante la visita privata all’ex Papa Ratzinger: questi gli accarezzava benedicente il capo, Kolya, in un attimo già furioso, stava quasi per mettergli le mani addosso. Il fatto è, ha spiegato poi il padre, che a parte le sue di carezze, proprio non riesce ad accettare che qualcuno lo tocchi.
In un’altra occasione – si favoleggia ma l’eredità caratteriale vale come una prova – così ha risposto a una hostess che garbatamente, si immagina, rimproverava il piccolo discolo in aereo: “Quando sarò diventato grande, ti farò fucilare”. Come indizi per un futuro da despota – il padre lo ha già investito del ruolo di successore, forse per riservarsi altri 21 anni di potere assoluto – non c’è che dire. Presenzia in divisa alle parate militari, in tenuta da guerra alle esercitazioni, pistola placcata d’oro, regalo del padre, alla cintura. Un ritratto perfetto del dittatore da cucciolo.