Monti viaggia (quasi) a vuoto in Europa, ambasciatori: lotta su art. 4

Pubblicato il 7 Gennaio 2012 - 14:04 OLTRE 6 MESI FA

Cosa sia andato a fare Mario Monti tra Parigi e Bruxelles la vigilia e il giorno della Befana non è ben chiaro se non a perdere un po’ di tempo in aereo. A Bruxelles, ovviamente, non c’era nessuno di importante, e l’unica cosa che ha potuto fare il presidente del Consiglio italiano è stata incontrarsi con il nostro ambasciatore e rivedere le carte.

A Parigi, non è ben chiaro nemmeno l’esito dell’incontro col presidente francese Nicolas Sarkozy, al quale va anche bene una foto ricordo in questi tempi di campagna elettorale (e tanti sono gli elettori di origine italiana, anche se l’italiana numero uno, la moglie Carla Bruni, gli sta procurando non poco imbarazzo e c’è da scommettere che tutto questo non lo rende ben disposto verso Monti e la causa dell’Italia), ma non basta certo una visita di Monti a spostare il precario asse faticosamente costruito con Angela Merkel da Berlino a Roma.

I giornali del sabato 7 gennaio sono un po’ confondenti. Per il Corriere, organo semi ufficiale di Monti, c’è stata una “svolta nelle relazioni” fra Italia, Francia e Germania: “Mercoledì prossimo Monti volerà a Berlino, per incontrare la […] Merkel, poi venerdì 20 gennaio, la stessa Merkel e  Sarkozy saranno a Roma per un mini summit”.

Più cauta, se si può dire così, Repubblica, che parla di “asse tra il Professore e Nicolas”, da questa nuova intimità ritrovata, il diktat: “La Merkel dovrà cambiare linea”.

Forse c’è più da credere alla Stampa: “Ma Parigi resta fredda sull’offensiva italiana. Il leader francere dice: “Mi ispira fiducia”, La sui dossier resta freddo”.

In realtà, Monti si aggira per l’Europa, cercando distrarre l’attenzione dal vero tema che sta facendo tornare lo spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi ai record di Berlusconi, che è quello della riforma delle regole sul lavoro in Italia, chiesta dalla Banca centrale europea in agosto ma tragicamente arenata nelle polemiche con i sindacati dopo le incaute dichiarazioni della improvvisata ministra Elsa Fornero.

Mentre Monti vola, a Bruxelles i funzionari italiani stanno incollati a un tavolo dove, con quelli di  altri 25 paesi aderenti all’Unione europea, cercano di attenuare i rigori che il nuovo trattato monetario voluto dai tedeschi ci imporrà.

C’è stata una riunione anche il giorno della Befana e un nuovo round di trattative si svolgerà la settimana che comincia il 9, con la speranza che un accordo possa essere raggiunto entro fine mese, in tempo, quanto meno, per l’Ecofin-Eurogruppo del 23-24 gennaio.

La situazione, a leggere la corrispondenza da Bruxelles di Beda Romano, è tutt’altro che facile: il rappresentante italiano nel gruppo di lavoro impegnato “nella messa a punto del Trattato intergovernativo cerca di evitare che la nuova disciplina di bilancio imponga al Paese una riduzione troppo drastica del debito pubblico. I negoziati continueranno nei prossimi giorni, con l’obiettivo di giungere a un testo condiviso entro fine mese”.

Forse era l’effetto Befana, ma, scrive Romano, “secondo alcuni diplomatici l’atmosfera nella riunione è stata collaborativa”. C’erano, oltre ai 26 Governi aderenti in prospettiva al nuovo accordo, “anche la Gran Bretagna (che ha preso le distanze dall’iniziativa), la Banca centrale europea, la Commissione e il Parlamento”.

Per l’Italia è centrale l’articolo 4, che prevede la riduzione del debito eccessivo rispetto al tetto del rapporto debito / pil del 60% di un ventesimo all’anno. Le cose sono ancora abbastanza in alto mare. Spiega Romano: “In un primo tempo, la norma – così com’era stata stata redatta dagli esperti del Consiglio – ignorava l’ammorbidimento introdotto nella recente riforma del patto di stabilità che precisa come sia necessario tenere conto di tutti i «fattori rilevanti» nel valutare l’evoluzione del debito”.

Di conseguenza, “il Governo Monti aveva presentato un emendamento con il quale collegava l’articolo 4 alla recente riforma del patto. Nell’ultima bozza di trattato questo riferimento è stato accettato dagli esperti del Consiglio ma inserito in modo ambiguo, menzionando solo l’articolo 2/1a del regolamento 1177/2011 (si veda Il Sole 24 Ore di ieri)”.

A fronte di ciò. “i diplomatici italiani hanno chiesto [nellariunione del 6 gennaio] che il riferimento fosse all’intero articolo 2. Il tentativo italiano è di evitare qualsiasi dubbio o ambiguità sulla possibilità di utilizzare tutti i «fattori rilevanti» nel giudicare l’andamento del debito eccessivo di un Stato membro. La questione è politicamente cruciale in un contesto nel quale da più parti in Europa si sta discutendo se il risanamento a tutti i costi dei conti pubblici sia compatibile con le condizioni economiche e la situazione sociale”.

Sempre nella riunione del 6 gennaio, sono stati toccati anche gli articoli 7 e 8 della bozza. Spiega ancora Romano: “Nel parlare della procedura di deficit eccessivo e del voto del Consiglio sulle raccomandazioni della Commissione, l’articolo 7 della bozza di trattato si riferisce alla “violazione del criterio di deficit e debito”. Molti Paesi sostengono che la procedura andrebbe limitata al disavanzo. La discussione ieri sera su questo punto è rimasta aperta. Passi avanti più evidenti sarebbero stati fatti invece sull’articolo 8. La norma prevede che le parti possano adire la Corte nel caso Paesi «abbiano violato il Titolo III» del Trattato, sulla disciplina di bilancio. Quasi tutti gli Stati hanno chiesto ieri che la competenza del tribunale fosse limitata – peraltro come deciso a livello politico il 9 dicembre – all’eventuale mancata introduzione dell’obiettivo del pareggio di bilancio nelle costituzioni nazionali, così come stabilito dall’articolo 3″.

Riferisce il Sole 24 Ore che “l’eurodeputato italiano Roberto Gualtieri [pd, dalemiano], che alla riunione ha rappresentato il Parlamento, ha messo l’accento sulla necessità «di evitare qualsiasi contraddizione tra il nuovo Trattato e la legislazione comunitaria». Il collega belga Guy Verhofstadt ha riferito delle paure della Gran Bretagna di essere isolata, dopo avere deciso di non sottoscrivere il nuovo accordo: «È la prima volta che sento Londra difendere i Trattati»”.